Libero, 5 settembre 2024
La Volkswagen ha perso 500mila auto
La pioggia di fischi nella grande fabbrica di Wolfsburg non ha impedito ai manager del colosso automobilistico tedesco di sbattere in faccia ai dipendenti (circa 16mila i presenti sui 120mila totali impiegati in Germania) la realtà. Colpi non facili da incassare, ma forse meglio delle balle che tanti capi azienda rifilano spesso a lavoratori, politici e opinione pubblica. La domanda di automobili in Europa non si è ripresa dalla pandemia Covid, con le consegne in calo di circa due milioni di pezzi, e la Volkswagen da sola, ha spiegato il cfo Arno Antlitz, accompagnato dal capo Oliver Blume e da altri vertici dell’azienda, ha perso vendite per circa «500mila auto, l’equivalente di due stabilimenti». L’allarme, in realtà, è scattato per tre impianti, tutti in Bassa Sassonia: Osnabrück, Emden e Braunschweig. Ma forti preoccupazione ci sono anche per i siti in Sassonia di Zwickau, Chemnitz e Dresda. L’ipotesi di una chiusura non è solo drammatica per i lavoratori coinvolti e per le loro famiglie. È uno shock per l’intero Paese, un catacisma epocale. Sarebbe la prima volta dal 1998 che uno stabilimento scompare completamente. Ma si trovava a Westmoreland, negli Stati Uniti. In 87 di storia del marchio nessuna fabbrica è mai stata chiusa in Germania.
Prospettiva che oltre ai dipendenti e al popolo tedesco terrorizza anche il traballante cancelliere Olaf Scholz, tramortito dai pessimi risultati elettorali in Turingia e Sassonia, ma ancora intenzionato, contro tutti e tutto, compreso il buon senso, a tentare la missione impossibile alle prossime elezioni politiche del 2025. Così, con una toppa che forse è peggiore del buco, considerato che green deal e diktat sulle elettriche sono tra le cause principali del terremoto dell’automotive europeo, il governo tedesco ha in tutta fretta approntato un nuovo piano di incentivi per i veicoli a batteria. Vantaggi fiscali per l’acquisto di nuove auto superiori a 500 milioni l’anno prossimo, che potranno salire fino a 650 milioni entro il 2028.
Progetti che continuano ad ignorare l’andamento del mercato e le preferenze dei consumatori. Proprio ieri sono usciti i dati delle vendite di agosto. In Germania sono state immatricolate in tutto 197.322 autovetture, il 27,8% in meno rispetto all’anno precedente. E a trascinare verso il basso il settore, guarda un po’, è proprio l’elettrico, crollato addirittura del 68,8%, con una quota di mercato scesa al 13,7%.
Tra annunci drammatici dell’azienda e contromisure potenzialmente inefficaci del governo, tutto fa pensare all’inizio di una vera e propria bufera. Per Antlitz il fatto tempo è fondamentale. «Dobbiamo aumentare la produttività e ridurre i costi. Abbiamo ancora un anno, forse due, per invertire la rotta», ha spiegato. E per quanto la dura sindacalista del consiglio di fabbrica della Volkswagen, Daniela Cavallo, continui a fare il suo mestiere e a prendersela con i manager, che «non stanno facendo il loro lavoro», è chiaro che dietro la crisi del colosso tedesco (che, lo ricordiamo, controlla anche i marchi Audi, Seat, Škoda, Bentley, Bugatti, Lamborghini, Porsche e Ducati), c’è qualcosa di più che una cattiva gestione. Le vendite di auto stanno crollando in tutta Europa, la Stellantis in Italia e Francia va in retromarcia da mesi e le elettriche precipitano malgrado gli incentivi. Solo ieri, tanto per avere un’idea, la Volvo ha annunciato che rinuncerà al suo obiettivo di abolire i motori endotermici entro il 2030.
Per carità, la Germania farà di tutto per evitare il peggio. Il primo ministro della Bassa Sassonia Stephan Weil, ha già invitato la Volkswagen a evitare la chiusura degli stabilimenti. E non è solo un suggerimento. Il Land detiene il 20% dei diritti di voto nel gruppo. Weil e la sua vice Julia Willie Hamburg fanno parte del consiglio di sorveglianza e insieme ai rappresentanti dei lavoratori hanno il diritto di veto su decisioni importanti.
Ma mai come in questo caso le cure rischiano di uccidere il paziente. Nessuno ha il coraggio di mettere sotto accusa la transizione ecologica. Ci mancherebbe. Ma il percorso verso la riduzione delle emissioni è costellato di alternative: ci sono i biocarburanti, i diesel a bassissimo inquinamento e, soprattutto, le auto ibride, che stanno spopolando. Ursula von der Leyen, nel suo complicato bis alla guida della Commissione europea, dovrà chiedersi se vale davvero la pena desertificare l’industria dell’auto europea per eliminare l’1% (questa è la quota che emettono in nostri veicoli) delle emissioni climalteranti mondiali. A chi giova?