la Repubblica, 5 settembre 2024
Gli affari d’oro delle mafie che comandano a San Siro
Non serviva l’uccisione a coltellate di Antonio Bellocco da parte di Andrea Beretta, a sua volta ferito da un proiettile, per comprendere il clima di tensione che negli ultimi anni avvolge la curva Nord nerazzurra. «Una polveriera», racconta chi conosce spaccature sempre più acute negli ultimi mesi, «ormai era peggio di San Luca», e il riferimento è a dinamiche e faide tipiche di ’ndrangheta, più che di tifo. E non solo per la scossa dirompente scatenata dall’omicidio dello storico leader degli ultrà, Vittorio Boiocchi, freddato a 69 anni con due colpi di pistola la sera del 29 ottobre 2022 da due killer in moto a volto coperto. Di quel leader carismatico, tornato a comandare la Nord dopo 28 anni di carcere ed eliminato sotto casa, proprio Andrea Beretta era il braccio destro. Erede di un potere che non riguarda solo coreografie e trasferte, ma anche la gestione dei tanti affari su cui da tempo la Procura ha aperto un faro: vendita dei biglietti e merchandising, gestione dei parcheggi allo stadio e controllo dei venditori del piazzale di San Siro. Fino allo spaccio.L’arrivo dal cuore della Calabria e dal gotha delle famiglie ’ndranghetiste di Antonio Bellocco, da oltre un anno presenza costante nell’organigramma della curva (meno sugli spalti di San Siro), non poteva che acuire tensioni già poco gestibili. Morto Boiocchi, ecco l’irresistibile ascesa di Marco Ferdico, sempre al fianco dell’erede della ’ndrina di Rosarno. Un’amicizia mai nascosta, anzi ostentata. Fino alle foto che mostrano il leader della curva in compagnia di Bellocco in vacanza, a cene e partite di calcio, persino al battesimo della figlia con l’hashtag #padrino. All’arrivo di Bellocco in curva, Beretta si era sempre detto contrario. Se il suo spazio a San Siro si era ristretto, complici i numerosi e lunghi Daspo collezionati negli anni, lui ha continuato a gestire e a guadagnare dagli incassi sempre maggiori del suo negozio di abbigliamento e merchandising nerazzurro a Pioltello. Un business di cui avrebbe chiesto conto Antonio Bellocco.Basta scorrere le pagine delle indagini sulla criminalità organizzata per capire il suo spessore criminale e il mondo che rappresenta: condannato in via definitiva per associazione mafiosa nell’indagineTramonto della procura di Reggio Calabria, è considerato parte «del sodalizio operante in San Ferdinando e facente capo a Giulio Bellocco Giulio e Aurora Spanò», padre (morto di tumore a 72 anni lo scorso gennaio in carcere a Opera al 41 bis) e madre (detenuta con diverse, pesanti, condanne) di Antonio.Un nome, quello dei Bellocco, che fa terra bruciata in curva. Beretta se ne è sempre detto amico, ma intanto deve fare un passo indietro, buon viso a cattivo gioco, indebolito dalla morte violenta del suo sodale. Anche altri gruppi storici perdono potere: finiscono ai margini gli Irriducibili, capeggiati da Domenico Bosa, “Mimmo Hammer”, leader del gruppo di estremadestra degli Hammerskin, che pure vanta solidissime relazioni criminali con il clan Pompeo di Bruzzano e una condanna per estorsione aggravata dal metodo mafioso.Di «rapporti non occasionali tra esponenti delle tifoserie organizzate di squadre di calcio e soggetti appartenenti ad associazioni di stampo mafioso, e in analoghi contesti fra tifoserie e gruppi eversivi», aveva parlato un anno fa, in una audizione alla Commissione nazionale antimafia, anche il procuratore di Milano Marcello Viola. «Il fenomeno non riguarda solo la criminalità organizzata ma anche gruppi eversivi che operano sul territorio nazionale, con profili di infiltrazione delle tifoserie e, in alcuni più limitati casi, delle stesse società, con attività delittuose di controllo del territorio in maniera concreta. Parlo di controllo dei parcheggi, di rivendita dei biglietti, delle attività di ristorazione». Come l’omicidio di Vittorio Boiocchi sulla sponda rossonera, resta insoluto l’agguato del 12 aprile 2019 a un altro uomo della curva, Enzo Anghinelli, colpito alla testa da un colpo di pistola a Porta Romana, pieno centro di Milano, e vivo per miracolo. Già quel mancato delitto aveva disvelato scenari criminali. La curva «è una miniera d’oro», diceva intercettato il boss della Barona Nazzareno Calajò, che aveva puntato agli affari dello stadio, dove leader indiscusso della Sud resta Luca Lucci, condannato a sei anni e quattro mesi per traffico di droga. Da tempo gli investigatori monitorano le mire della ‘ndrangheta anche sulla curva rossonera, le violenze – dalla spedizione punitiva ai danni di uno spacciatore a Motta Visconti al pestaggio del personal trainer Cristiano Iovino a Milano, alla presenza di Fedez e dei suoi bodyguard ultras – e gli affari comuni tra esponenti delle due curve. Una pax tra opposte tifoserie in nome degli affari che nemmeno le vicende sportive possono scalfire. Quando lo scorso maggio il calciatore dell’Inter, Federico Di Marco, intonò un coro contro i milanisti dopo l’incontro di Champions League tra le due squadre milanesi, scatenò l’ira della curva rossonera. Tanto che dovette intervenire proprio Ferdico, con un video sui social, per salvare la non belligeranza tra le due curve.