Corriere della Sera, 5 settembre 2024
I coloni vogliono una Cisgiordania libera dai palestinesi
Gush Etzion (Cisgiordania) Mai stati così forti, tanto consapevoli del loro ruolo, certi di essere le avanguardie coraggiose e indispensabili dell’Israele del futuro. Parliamo dei coloni ebrei in Cisgiordania. Non solo degli estremisti messianici, quelli che i capi dello Shin Bet (il servizio di sicurezza interno) definiscono ormai apertamente come «terroristi, pericolosi anche per l’esistenza dello Stato»; non dei «giovani delle colline», che fondano nell’arco di una notte insediamenti illegali con caravan e tende e all’alba aggrediscono i villaggi palestinesi tutto attorno: devastano, rubano, feriscono e uccidono.
Tornando a visitare gli insediamenti di Gush Etzion abbiamo scelto i moderati: tra loro ci sono quanti affermano con il giornalista straniero di essere pronti a «tornare dentro i confini del 1948, se fosse possibile una vera pace con gli arabi». Gente, insomma, che non nasconde di avere approfittato dei prezzi bassi delle case, degli incentivi offerti dal governo e dalle organizzazioni della destra ebraica americana, per acquistare in Cisgiordania grandi ville nuove di pacca, con giardino e piscina, per gli stessi soldi che a Tel Aviv non sarebbero bastati per un appartamentino lontano dal mare.
«Devo confessare che la bestialità dimostrata da Hamas nell’attacco da Gaza il 7 ottobre ha radicalizzato le mie convinzioni. Se prima credevo tra mille dubbi che la pace con i palestinesi fosse impossibile, oggi ne sono certo, assolutamente sicuro. Non c’è spazio per alcun compromesso, sicuramente non per la divisione della terra in due Stati. Ora che noi siamo più forti e siamo ancora in tempo dobbiamo uccidere i loro capi ed espellere la grande maggioranza, devono andarsene da Cisgiordania e Gaza, che sono nostre come dice la Bibbia e come Israele ha dimostrato con la vittoria nella guerra del giugno 1967», dice Shaul Levarie, che ha 45 anni e risiede a Gush Etzion dal 2012. Lo incontriamo che imbraccia il fucile e alla cintola ha una pistola. È il suo turno di guardia nelle vicinanze della sinagoga locale. Poche ore fa due kamikaze jihadisti partiti da Hebron sono morti nelle loro auto imbottite di esplosivo, colpiti dai soldati mentre cercavano di superare le reti di recinzione.
«Nel 1967, subito dopo la vittoria, il nostro governo sbagliò a non mettere in atto una seconda Nakba. Netanyahu l’anno scorso avrebbe dovuto approfittare del caos e della simpatia internazionale per Israele e cacciare via tutti i palestinesi. Io trovo che sia inevitabile, dovremo farlo comunque al più presto», dice utilizzando il termine arabo «Nakba», la catastrofe, come i palestinesi chiamano l’espulsione di circa 750.000 dei loro dalle terre del nuovo Stato ebraico tra il 1948-49.
Attorno a lui la geografia del territorio sembra avvalorare le sue tesi. Qui ai tempi della Prima Intifada, la grande rivolta popolare scoppiata nel dicembre 1987, vivevano poche migliaia di coloni, i loro insediamenti erano piccoli avamposti isolati, circondati da uliveti e campi coltivati dai fellahim che seguivano tradizioni millenarie. Ma oggi i coloni in Cisgiordania sono oltre mezzo milione, cui si aggiungono i quasi 250.000 nei quartieri di Gerusalemme est, a loro volta parte dei territori abbandonati dall’esercito giordano nel 1967. La nuova autostrada numero 60 voluta dai governi di Netanyahu sconvolge l’accesso alle zone arabe, distrugge la vecchia economia agricola, unisce le colonie ebraiche e invece marginalizza e segmenta le proprietà palestinesi. All’entrata di Gush Etzion il parco giochi racconta la storia della colonizzazione ebraica: l’epopea delle prime terre acquistate negli anni Venti del Novecento, poi la guerra dei convogli per portare i rifornimenti vitali e il loro abbandono nel 1948 ed infine il ritorno diciannove anni dopo.
Nel parcheggio del supermercato locale padre e figlio, Ariel che ha cinquant’anni e Itzhak di 22, stanno caricando la loro auto di rotoli di filo spinato che intendono stendere di fronte alla loro villetta nella vicina colonia di Efrata. Come vedete il futuro con i tre milioni di palestinesi della Cisgiordania? Risponde Ariel: «A casa abbiamo un vecchio cane lupo. È con noi da quasi vent’anni. Era sempre stato affettuoso con i miei bambini, il più piccolo ha 8 anni. Ma l’altro giorno lo ha morsicato. Il medico ci ha detto che potrebbe avere la rabbia, dovremmo disfarcene. Ma che fare? Sopprimerlo, abbandonarlo nel deserto, oppure darlo a un canile lontano da casa? È lo stesso dilemma che abbiamo con i palestinesi. Dobbiamo decidere in fretta».