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 2024  settembre 05 Giovedì calendario

Zelenskij accentra il potere

«Autunno, cadono le foglie». Maria Zakharova gongola. Per la portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, il massiccio rimpasto nel governo ucraino è un segnale di debolezza. «I rami restano nudi». A Kiev, invece, si parla di normale avvicendamento, della necessità di «ottimizzare» e avere «nuove energie». Formule che andrebbero bene in qualunque situazione, ma Zakharova potrebbe comunque sbagliarsi. La potatura di 4 ministri, due sottosegretari e altrettanti boiardi accorcia la catena di comando, sveltisce le decisioni, facilita lo sforzo bellico. Il presidente Volodymyr Zelensky rafforza il suo ruolo di unico uomo al comando. E con lui, la linea dura verso la Russia non si discute. A lasciare la poltrona sono quelli che dubitano, che avrebbero la tentazione di trattare un compromesso.
L’«ufficio presidenziale» di Zelensky, nel centro di Kiev, poco sopra piazza Maidan, super protetto da batterie anti missile, ormai conta molto più del governo e del Parlamento messi assieme. È lì, tra pochissimi uomini, che si prendono le decisioni strategiche compresa quella di continuare e come la guerra. Tutti gli altri, ministri, militari, intelligence devono realizzare i piani pensati dal presidente e i suoi. In Ucraina oggi oltre a Zelensky contano davvero solo il capo dell’amministrazione presidenziale, Andriy Yermak, e il capo dei consiglieri Mykhailo Podolyak. Il primo era regista e produttore quando Zelensky era un attore, il secondo, ex giornalista, è l’artefice dell’efficacissima comunicazione di guerra.
In questi oltre due anni dall’invasione l’ex comico ha saputo eliminare via via tutti i possibili concorrenti. Ha cominciato con i partiti politici, ha proseguito con gli oligarchi per poi passare ai militari più in vista e chiudere con i collaboratori tentennanti, come forse questi ultimi ministri dimissionari. Tutto grazie al nazionalismo di guerra, a quello «stringersi attorno alla bandiera» (rally ‘round the flag) che funziona ovunque.
I partiti politici sono stati messi fuori gioco subito con la Legge marziale. Sospese le elezioni e punita col carcere qualunque dichiarazione contraria all’interesse nazionale. Risultato: fuorilegge 11 partiti «filorussi» e silenziati tutti gli altri. Gli oligarchi hanno avuto vita appena poco più lunga. Zelensky ha tolto la cittadinanza ai dieci ucraini più ricchi compreso Igor Kolomoisky, suo «mentore». Fu Kolomoisky a finanziare la serie tv Servitore del Popolo che lanciò la candidatura presidenziale dell’attore. Unico oligarca che ha resistito all’epurazione è Rinat Akhmetov, padrone dell’Azovstal di Mariupol, perché ha sposato in pieno la causa della resistenza all’invasione. 
Ancora più complesso è il rapporto tra Zelensky e i siloviki: militari, servizi segreti, polizia. Tra 2023 e 2024 Zelensky ha silurato il ministro della Difesa Olekseij Reznikov e il capo di stato maggiore Valeriy Zaluzhny che con la sua popolarità rischiava di fargli ombra. Come l’ex consigliere militare Oleksiy Arestovych, anche Zaluzhny aveva mostrato un certo interesse al compromesso con Mosca. Per qualcuno anche il ministro degli Esteri Kuleba, dimissionato ieri, avrebbe tentennato. «Ci saranno cambiamenti nella direzione della politica interna ed estera» aveva annunciato il presidente e le rinunce hanno cominciato ad affluire. La catena di comando è corta e indiscutibile.