Corriere della Sera, 4 settembre 2024
Strage del bus, forse colpa degli pneumatici troppo grandi
Venezia – La conferma è arrivata da quel numero scritto sul pneumatico: 305. Ma anche dal «buco» che dimostra come i bulloni non siano stati fissati fino in fondo proprio perché i perni erano diventati troppo corti. Nella ricerca dei motivi per cui si è rotto il perno dell’asse dello sterzo dell’autobus elettrico della società «La Linea» precipitato lo scorso 3 ottobre dal cavalcavia superiore di Marghera, causando 22 morti e 14 feriti, si fa strada l’ipotesi di una ruota più larga di quella prevista dalla scheda tecnica del pezzo. Il colosso tedesco «Zf», che ha realizzato l’intero sistema sterzante per il produttore (la cinese «Yutong»), scrive che la ruota corretta per l’assale 82EC sarebbe quella da 275, dunque più stretta rispetto a quella montata al momento dello schianto.
Da qui subito due domande: per quale motivo è stata «violata» l’indicazione della scheda tecnica? Può essere stato questo il motivo della rottura del pezzo che ha reso l’autobus ingovernabile per il conducente, il 40enne trevigiano Alberto Rizzotto (anche lui morto nella strage), che fino all’ultimo ha provato a frenare? Un’ipotesi potrebbe essere che si sia ritenuto così di stabilizzare un autobus con le pesanti batterie sul tetto. E infatti nel momento in cui è precipitato, lo ha fatto cadendo a testa in giù da 10 metri. Sulla seconda domanda, invece, le verifiche sono in corso e questo aspetto interessa soprattutto le difese dei funzionari comunali indagati: il dirigente del settore Lavori Pubblici, Simone Agrondi, e i due direttori Roberto Di Bussolo e Alberto Cesaro. Una ruota più larga potrebbe infatti creare una maggiore resistenza al momento della sterzata e questo, nonostante l’autobus fosse recente, potrebbe aver indebolito il perno.
D’altra parte tale aspetto non è stato chiarito dai docenti dell’Università di Padova, Roberto Lot e Giovanni Meneghetti, incaricati della consulenza sul mezzo dal pm Laura Cameli, titolare dell’inchiesta. Nel loro elaborato finale i due esperti sostengono che c’è stata una «improvvisa rottura dell’asta di rinvio dello sterzo», ipotizzando che «questo componente fosse già stato danneggiato in precedenza» e che si tratti di una «rottura per fatica», ma non sono stati in grado di scoprirne il motivo. E quindi si stanno vagliando il problema della ruota più larga ma anche un’altra ipotesi, ovvero un difetto di realizzazione al momento della fusione. In quest’ultimo caso un’eventuale responsabilità potrebbe ricadere anche sulla ZF. Il Comune di Venezia, eventualmente con la responsabilità (che in sede penale è personale) dei suoi dirigenti, potrebbe essere comunque chiamato a rispondere della seconda ipotizzata causa dell’incidente, ovvero l’inadeguatezza del guardrail dei cavalcavia. Secondo la ricostruzione dell’ingegnere del ministero delle Infrastrutture, Placido Migliorino, se la barriera metallica fosse stata più resistente e soprattutto se non avesse avuto quel varco di servizio di 2 metri che la interrompeva, probabilmente l’autobus sarebbe rimasto in carreggiata, visto che nel frattempo la velocità era scesa a circa 3 chilometri all’ora.
Quella sull’autobus e sul guardrail sono due delle 6 perizie disposte dalla Procura: quella sul cellulare di Rizzotto aveva escluso che fosse distratto, mentre video e scatola nera hanno ricostruito la dinamica. L’autopsia firmata dal medico legale Guido Viel ha escluso quella che sembrava l’ipotesi più semplice, ovvero un malore dell’autista. Nel frattempo Allianz, la compagnia assicuratrice de «La Linea», il cui titolare Massimo Fiorese è il quarto indagato, ha quasi completato il primo giro di pagamenti dei parenti delle vittime e dei feriti. Alcuni di loro hanno accettato la cifra, che pare sia nell’ordine di alcune centinaia di migliaia di euro, a titolo definitivo, mentre per altri si è trattato solo di primi acconti. Proprio ritenendo che la maggiore responsabilità sia in capo al Comune, il colosso assicurativo a fronte di ogni pagamento ha contestualmente scritto a Ca’ Farsetti chiedendo a quest’ultimo (o meglio alla sua compagnia) di farsi carico delle somme. Ma questo lo si valuterà alla fine di tutta l’indagine.