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 2024  settembre 04 Mercoledì calendario

Gratteri dice che parlare di indulto fa rivoltare i detenuti

Era uscito di galera dopo 19 anni e aveva subito ripreso la guida del clan. Ci sono molte storie da raccontare, nelle pagine dell’inchiesta che ruota attorno alla figura di Aldo Picca, 68enne boss di Carinaro e Teverola, tornato in cella a meno di un lustro dalla scarcerazione del 25 novembre 2020 sulla base delle indagini, condotte dai carabinieri di Caserta e coordinata dal pool anticamorra della Procura napoletana, sfociate in 42 ordinanze cautelari, 32 delle quali in carcere.Il lavoro investigativo ha confermato la capacità della criminalità organizzata di marcare il territorio imponendo estorsioni a tappeto in un contesto di quasi unanime omertà delle vittime e di adeguarsi al tempo che passa, ad esempio riscuotendo il pagamento delle dosi di droga con “pos” portatili intestati fittiziamente a un negozio di abbigliamento oppure riciclando denaro in modo così massiccio da consentire a un bar di fatturare 900mila euro in piena crisi da Covid. Ma la parabola di Picca che, come previsto dalla legge, ha scontato solo un terzo dei 61 anni complessivi di reclusione ai quali era stato condannato, suggerisce al procuratore Nicola Gratteri riflessioni che entrano direttamente nel dibattito politico di questi giorni. «Andrebbe rivista l’esecuzione penale, ma non è un argomento tanto di moda», argomenta il magistrato incontrando i cronisti in conferenza stampa. E poi affonda: «Sento parlare, a livello parlamentare, di indulti e amnistie. Ma sono argomenti pericolosi. Uno dei motivi delle rivolte che si registrano quasi quotidianamente nelle carceri è proprio questo annunciare cose che non si realizzeranno – accusa il procuratore – Non penso che questo governo possa pensare a un indulto, per motivi di consenso popolare ed elettorale». Nella visione di Graterri andrebbero piuttosto «accelerate le procedure per spostare i giovani tossicodipendenti in nuove comunità terapeutiche e in nuove rems». Strutture che potrebbero essere realizzate «utilizzando i beni confiscati che stanno cadendo a pezzi». Naturalmente in attesa di nuove carceri che si annunciano ma non si costruiscono: «Dicono che ci vogliono sette anni. Ma se non inizia mai...», rileva il magistrato da anni sotto scorta per le sue indagini sulla ‘ ndrangheta.L’inchiesta dei carabinieri di Caserta conferma la diffusione dei cellulari nelle celle degli istituti di pena. «Mediamente nelle carceri ci sono 100 telefonini, con detenuti che hanno la spudoratezza di inviare video di feste di compleanni attraverso i social e riescono a comunicare tranquillamente tra loro». Gratteri ricorda di aver proposto, cinque-seianni or sono, «di mettere i jammer nelle carceri di alta sicurezza. Mi hanno risposto che non è possibile perché fanno male alla salute delle persone e perché la polizia penitenziaria deve comunicare con il telefonino. Ma non mi risulta che la penitenziaria possa usare telefonini nelle sezioni. Mi risulta invece che in ogni sezione c’è un telefono con il filo, perché la penitenziaria deve chiamare il comandante del carcere o l’ufficio matricola. Sono questi i numeri e i contatti che servono a chi è all’interno del carcere», evidenzia il procuratore che poi assesta una stoccata anche alla riforma Cartabia quando, in conferenza stampa, esordisce: «Abbiamo arrestato 32 presuntiinnocenti». Le misure cautelari sono state disposte dal giudice Marco Carbone su richiesta del pool anticamorra guidato dal procuratore aggiunto Michele Del Prete che ha coordinato le indagini dei carabinieri del comando provinciale di Caserta diretto dal colonnello Manuel Scarso. Il capitolo delle estorsioni è stato sviluppato nonostante i silenzi delle vittime, tra le quali farmacisti, titolari di pompe funebri, commercianti, imprenditori e anche semplici cittadini, come il professore preso di mira per avere affittato un terreno sul quale il clan intendeva realizzare un inceneritore. Nel filone dello spaccio di droga, episodi di dosi vendute anche in presenza di figli minori e i pagamenti con il “pos” grazie alla copertura di un negozio di abbigliamento. Chi non onorava i debiti, passava un brutto quarto d’ora: pestaggi oppure il sequestro di carta d’identità o patente in attesa del saldo. Gli affari illeciti si evolvono, ma i metodi intimidatori restano gli stessi.