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 2024  settembre 04 Mercoledì calendario

Scorribande in biblioteca

«Voi cacciatori siete capaci di tutto» disse don Luigi che della caccia riprovava le irragionevoli spese e fatiche, pur apprezzando la pernice in brodo e il coniglio all’agrodolce.
Leonardo Sciascia: «A ciascuno il suo», Adelphi, 1988
Qualcosa, dentro, gli ripeteva che il giorno che egli fosse caduto sull’arido terreno africano, tutto per lui sarebbe finito per sempre. Le stelle brillavano come mai le aveva viste in patria. Le fissava intensamente, come per sfuggire ai propri pensieri. Ma dopo un poco l’eco smorzata di una melodia lo richiamava alla realtà. Veniva dai soldati toscani della prima compagnia, che ogni sera, scioglievano in canto le proprie nostalgie: «Sull’Arno d’argento si specchia il firmamento, mentre un sospiro, un canto si perde lontan...».
Luigi Preti: «Giovinezza, giovinezza», Mondadori, 1994

Uno dei piccoli si fermò di colpo sul viottolo e gridò: «Oh, una lucertola! Una lucertola! Guardate!». Fra due pietre al sole apparivano e sparivano agili code, spuntavano piccole teste piatte, gole palpitanti pulsavano rapide per lo spavento. I ragazzi guardavano affascinati. Qualcuno si era perfino inginocchiato sul sentiero. Il prete pazientò per alcuni secondi, poi li esortò a riprendere il cammino. Docili, i ragazzi si rimisero in piedi, ma nello stesso istante dalle loro mani partirono, come proiettili, dei sassi, scagliati con tanta abilità e una rapidità cosi sorprendente che due lucertole, le più belle, le più grandi, di un grigio delicato quasi azzurro, restarono uccise sul colpo.
Iréne Némirovsky:
«Suite francese», Adelphi, 2005

Silvio era quasi arrivato al porto di Goteborg: camminava spedito, gli faceva bene sgranchirsi un po’ le gambe dopo il sonno, alla mattina presto. Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto da due spari. Silvio stramazzò a terra, stecchito, con l’aria stupita dipinta sul volto incredulo. I vecchi compari l’avevano trovato pure lì, e avevano saldato il conto. Loro non scordavano mai i conti sospesi.
Giorgio Vismara: «Ponente criminale», Antea edizioni, 2024
Io scrivo, per esempio, una pagina ogni mattina per sentire se il mio cervello, dopo l’odioso lavoro di sceneggiatura del pomeriggio e della sera, durante il quale si è mescolato ad altri cervelli in un mucchio di materia grigia tanto grosso e gonfio quanto inerte e stupido, viva ancora di vita propria.
Vitaliano Brancati: «Paolo il caldo», Bompiani, 1956

Noi eravamo fortunati a essere cattolici. La religione cattolica era una pacchia tanto era semplice, una piccola messa di mezz’ora ogni domenica e qualche comunione ogni primo venerdì del mese che passavano in un soffio. Lui, invece, doveva tuffarsi tutti i sabati nella sinagoga, per ore e ore, nascondendo gli sbadigli e fingendo di interessarsi ai sermoni del rabbino (di cui non capiva un’acca) per non deludere il padre, che, in fin dei conti, era un vecchione buonissimo. Se Mascarita gli avesse detto che da tempo aveva smesso di credere in Dio e che, a conti fatti, la faccenda di appartenere al popolo eletto a lui importava un cavolo, al povero don Salomón sarebbe venuto un colpo.
Mario Vargas Llosa: «Il narratore ambulante», Rizzoli, 1988

Sulla rampa delle scale filtrava poca luce. Da qualche parte nel palazzo una radio strimpellava una canzonetta. Al secondo piano si aprì una porta, una vecchietta dai capelli grigi mise il naso sul pianerottolo e, vedendo lo schieramento di polizia, si ritirò immediatamente. Erano due donne e dodici uomini che quasi non facevano rumore.
Volker Kutscher: «Il pesce bagnato», Mondadori, 2007

Uno può avere una visione del mondo razionalmente progressista, o rivoluzionaria, ma restare nell’intimo un conservatore, perfino un reazionario; o addirittura un piccolo borghese, come dimostrano certe meschine umiliazioni inflitte da Marx a quel grande signore ottocentesco che fu Engels. Per quanto mi riguarda, più vado avanti negli anni e più sento insorgere con forza dall’interno la mia origine borghese, che neppure la caduta della famiglia e dei simboli del potere economico è riuscita a sopprimere in certi movimenti della psicologia e del mio costume privato. Noto che col passare degli anni si rafforza in me la tendenza ad un tipo di scetticismo conservatore, di benevola indifferenza per il prossimo, di fastidio per le prediche e per le facce sconvolte dai terrori cerebrali. Tutto ciò si unisce a un’atavica, direi carnale necessità dell’agio, delle belle stoffe, delle buone maniere, del tatto nella vita sociale, della vita ovattata e protetta dal gusto e dalla discrezione.
Enzo Bettiza: «Saggi», Rizzoli, 1984

«Se la memoria non m’inganna», disse il cardinale, «lei è socialista» «Tutt’altro», rispose il ministro. «Ho cominciato come socialista, si capisce: si fa tutti così. Ma non ho tardato ad accorgermi che il socialismo era un’aberrazione pseudo-idealista basata su un concetto falso dell’economia. Adesso sto virando verso il centro».
Bruce Marshall: «A ogni uomo un soldo», Longanesi, 1957

Tenendosi fuori tiro, gli assedianti portavano uniformi sconosciute e ci mostravano da lontano, infilzate su picche con la lama dentro al collo, le teste degli uccisi. E un loro parlamentare, un Chiauss con bandiera bianca, mi recò una cassetta e, spiandomi, l’aprì adagio davanti a me, sul mio tavolo; e io vidi la testa imputridita del Governatore di Nicosia e un messaggio scritto: «Farai la stessa fine se non vi arrendete». Il parlamentare restò deluso, perché io ordinai di portar via quella spoglia e seppellirla solennemente in Cattedrale e risposi che per ottenere la mia città dovevano prendersela con le armi, se gli riusciva. Lui replicò che l’avrebbero fatto, e che ce ne saremmo pentiti. E nella stanza ammorbata dal fetore, mentre un mio ufficiale, pallido, richiudeva la cassetta, tutti noi presagimmo che quella guerra avrebbe lasciato vivi solo i vincitori.
Maria Grazia Siliato: «L’assedio», Mondadori, 1995

È così pigro che per non fare lo sforzo di sedersi, resta in piedi.
Roberto Gervaso: «Breve corso di educazione cinica», Mondadori, 2015