la Repubblica, 4 settembre 2024
Aneddoti vari da Venezia 81
Venezia – Alberto Barbera cammina sotto gli altissimi soffitti del Casino del Lido di Venezia, gioiello di architettura razionalista ormai da anni quartier generale della Mostra del cinema, e volteggia come Keanu Reeves in un action movie degli anni Novanta. È la leggerezza del successo. A dieci passi da dove fino a una trentina di anni fa girava ancora la roulette, il direttore della Mostra si ferma a scambiare due chiacchiere con Repubblica e ha il sorriso di chi sa che i suoi numeri vincenti sono usciti tutti: «Ho appena visto i dati della prima settimana, sono strepitosi», dice. Vero. Dodicimila accreditati, quasi sessantamila biglietti venduti al pubblico, più 11 per cento sull’anno scorso. «E tutto questo – aggiunge – in una situazione logistica terribile, trasporti carenti, posti letto insufficienti, cibo introvabile e, vogliamo dirlo? Prezzi esagerati…». Esagerati potrebbe essere un eufemismo: 10 euro un panino, 20 un piatto di pasta, 40 un secondo, e non parliamo di menu stellati. Da 400 euro a notte per la camera di un tre stelle. Persino lo Spritz, da queste parti voce regina del paniere dell’inflazione, un tempo felicemente servito a due euro e mezzo, ormai viaggia a prezzi come minimo raddoppiati. «Eppure – dice Barbera – la gente vuole esserci comunque, non so come facciano i più giovani a permettersi certe spese, ma non rinunciano. Il pubblico si è allargato tanto ed è anche cambiato». Servirebbe, per accogliere tutti degnamente, un grande piano: servizi, edifici, vaporetti. Barbera concorda, «ma è difficile, al Lido è quasi tutto vincolato».Il direttore ha ancora l’incarico per altre due edizioni della Mostra. A domanda, spiega di non sentire sul collo il fiato del nuovo corso politico: «Devo dire che la transizione è stata indolore, anzi, non ce ne siamo nemmeno accorti e questo grazie a Pietrangelo Buttafuoco, persona rispettosa oltre che affabile. Non solo non mi ha fatto pressioni, ma mi ha difeso dalle pressioni quando le ha ricevute. Mi ha detto: ti racconterò a Mostra finita». E Pupi Avati film di chiusura? «Vabbè, dai, è un nome del nostro cinema…».Insomma, in questi giorni il mondo guarda Venezia. Del pubblico si è detto. Ci sono i divi hollywoodiani a bizzeffe. I film, beh, non sono tutti strepitosi esemplari d’arte cinematografica, come vorrebbe la dizione della Mostra, però il livello medio resta buono e non è che i film iraniani o coreani o taiwanesi delle vecchie edizioni fossero tutti capolavori. Film italiani così così (“Si sta come d’autunno a vedere Amelio”, c’è scritto sul muro delle stroncature del pubblico), però non si vedono più le porcherie che affollavano le sezioni collaterali e che i cinefili crudeli andavano a vedere solo per schiamazzare in sala. Lontani i tempi in cui si rischiava il sorpasso dei festival di Berlino e Toronto, e addirittura il fratricidio di Roma. Si sono persino desanremizzate le conferenze stampa, anche se ieri una giornalista ha chiesto a Daniel Craig quanto lo preoccupasse il fatto che lui, già James Bond, fosse ora il protagonista di un film ultra-gay come Queer di Luca Guadagnino. Il regista, con il suo tipico humour, ha risposto per Craig: «Non conosciamo i gusti profondi di Bond, l’importante è che porti a termine le sue missioni».Hanno funzionato anche i cordoni di sicurezza: Angelina Jolie non ha incontrato Brad Pitt nemmeno da lontano, il programma era studiato affinché lui arrivasse al Lido solo dopo che lei aveva già lasciato l’Italia, e Gennaro Sangiuliano non ha incrociato Maria Rosaria Boccia, il ministro della Cultura è volato via dopo la serata inaugurale e di Boccia si hanno notizie solo via Instagram, ma qui forse non è merito di Barbera. Qualche sparuta protesta social per l’invito a Pitt in quanto “abuser”, presunto non è parola prevista in questi casi.C’è pure un appello di 300 nomi del cinema e dello spettacolo italiano, tra i quali Alessandro Gassmann, Gabriele Muccino, Asia Argento, Elodie e i 99 Posse, per accusare Venezia 81 di fare «artwashing del genocidio di Gaza contro i palestinesi» e imputare alla Mostra «complicità con l’apartheid di Israele». La colpa? Aver selezionato in programma due opere israeliane, una delle quali è un film diretto da Amos Gitai. Per spiegare ai non cinefili che sanno poco del regista israeliano: come se le associazioni anti-caccia chiedessero il foglio di via per Bambi.L’altro giorno s’è affacciato alla Mostra pure Nanni Moretti, che una dozzina di anni fa spiazzò i suoi numerosi fan presentandosi alle feste in spiaggia del Lido avvinghiato a una nuova fidanzata. Il Sindacato dei giornalisti cinematografici gli ha consegnato un premio in occasione della proiezione di Ecce Bombo, film che a distanza di quasi mezzo secolo non ha perso un’oncia della sua brillantezza. Fuori dalla sala dove si proietta il suo vecchio film, uno studente di cinema chiede a Moretti un selfie. Lui dice: «Ok». Poi, anziché scattare la foto, riprende a parlare con una signora al suo fianco e si sposta di qualche passo. Lo studente lo segue confidando in quell’ok e azzarda di nuovo: «La facciamo?». Moretti si ferma, lo guarda senza direniente e ricomincia a conversare con la signora. Lo studente demorde. Moretti si allontana, poi si volta verso il ragazzo: «Allora, la facciamo o no ‘sta foto?». Studia, ragazzo, questo è cinema.