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 2024  settembre 04 Mercoledì calendario

Putin in Mongolia si atteggia a leader asiatico

Per curiosa coincidenza, un incontro di Vladimir Putin con un leader straniero, o un suo viaggio all’estero, avvengono spesso in contemporanea con un bombardamento particolarmente cruento delle città ucraine. Potrebbe essere puramente casuale, anche perché la Russia organizza raid contro l’Ucraina praticamente tutti i giorni, ma per gli interlocutori internazionali del dittatore russo resta il problema di posare accanto a lui sorridendo, nelle fotografie ufficiali, mentre nello stesso momento emettono dichiarazioni di cordoglio per i civili ucraini caduti. È successo al premier indiano Narendra Modi, giunto a Mosca proprio mentre un missile russo sventrava l’ospedale pediatrico Okhmatdyt a Kyiv. È successo ieri al presidente della Mongolia Ukhnaagiin Khurelsukh, che ha accompagnato l’ospite russo in una serie di sontuose cerimonie e ricchi banchetti, allestendo ridondanti scenografie che includevano guardie a cavallo in uniforme da film in costume su Gengis Khan e yurte tradizionali, mentre a Poltava saliva vertiginosamente la conta dei morti per la scuola e l’ospedale colpiti da Iskander russi. Una tragedia che probabilmente ha aumentato per la Mongolia l’imbarazzo di essere diventata l’unica nazione ad aver accolto Putin nonostante l’obbligo internazionale di arrestarlo in base al mandato d’arresto spiccato contro di lui dal Tribunale penale internazionale dell’Aja.Se le coincidenze tra visite e bombardamenti possono essere casuali e non intenzionali, è sicuramente voluta la pressione alla quale Mosca sottopone i suoi alleati, potenziali e acquisiti, per spingerli a schierarsi. Difficile immaginare un altro motivo per la deviazione di Putin sulla rotta per Vladivostok, se non quello di poter dimostrare davanti alle telecamere di tutto il mondo che l’inquilino del Cremlino può ampliare ulteriormente il suo habitat politico, drasticamente ristretto dal marzo 2023 dal mandato di cattura internazionale ai Paesi che non aderiscono al Tribunale, e farsi beffe degli appelli dell’Ucraina alla Mongolia di rispettare i suoi impegni. Una soddisfazione che non sembra però aver rallegrato troppo Putin, almeno a giudicare dalla faccia gelida con la quale ha osservato le bambine di un asilo mongolo danzare goffamente balli folcloristici russi, in una scenografia tardo sovietica che probabilmente gli ha fatto ricordare che quasi tutti i suoi viaggi nell’ultimo anno hanno avuto come destinazione le ex colonie di Mosca. E che perfino il governo mongolo, vassallo storico di Mosca, ha ritenuto opportuno mandare un suo rappresentante anonimo a confessare a The Politico che la decisione di non arrestare Putin sia dovuta alla dipendenza della Mongolia dalle forniture energetiche russe, «decisive per l’esistenza del nostro popolo». Ovviamente non è una coincidenza che alla vigilia della sua visita a Ulan Bator il presidente russo abbia promesso ai mongoli forniture di gas a prezzo scontato, da ottenere dal gasdotto “Potenza della Siberia-2” che vorrebbe proporre a Pechino, e che abbia invitato Khurelsukh al prossimo vertice dei Brics.Proprio ieri l’agenzia Bloomberg ha rivelato che anche la Turchia avrebbe fatto richiesta di aderire alla associazione dei Paesi emergenti che vorrebbe rappresentare il fronte del “Sud globale": sarebbe il primo Stato membro della Nato a entrarvi, in quella che appare anche una evidente polemica con l’Unione Europea. La richiesta sarebbe stata fatta in realtà già mesi fa, e andrebbe ad allargare quella – per tanti altri versi eterogenea e fragile – coalizione dei Paesi che Mosca vorrebbe trasformare in un “campo antioccidentale”, nella speranza che la prossima volta anche membri dei Brics aderenti al Tribunale dell’Aja accolgano Putin invece di negargli ospitalità, come aveva fatto l’anno scorso il Sudafrica.Con l’avvicinarsi della scadenza delle elezioni americane, tante vicende hanno preso un’accelerazione improvvisa. L’attacco ucraino in territorio russo ha ribaltato lo stallo apparente della guerra, e calpestato molte delle “linee rosse” delle cautele occidentali: l’appello, qualche giorno fa, di Josep Borrell, a cancellare le limitazioni poste a Kyiv per la gittata dell’utilizzo delle armi di provenienza occidentale, sembra preannunciare una decisione imminente, almeno in Europa. E il brusco aumento delle difficoltà di Mosca nei commerci con la Cina, anche attraverso Paesi terzi come gli Emirati Arabi, per paura delle sanzioni “secondarie” degli Usa, rischia di accorciare l’orizzonte economico della resilienza russa. Motivo in più per Putin per volare in Mongolia, strizzando l’occhio a Pechino e ad altri partner asiatici, ostentando la sicurezza di un leader globale. Al ritorno a casa lo attende la regione di Kursk, il grande non detto della politica russa, dove – ha promesso ieri Volodymyr Zelensky – le truppe ucraine sono entrate per «rimanere a lungo».