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 2024  settembre 04 Mercoledì calendario

Il coraggio della morte pubblica

Caro Aldo,
mi dispiace apprendere che Oliviero Toscani si sia ammalato. Colpisce che una forza della natura come lui sia ridotto in quelle condizioni. Non è il primo che racconta la sua malattia e sinceramente pare che alla fine l’intervista a un personaggio si concentri ormai sulla sua malattia. Ma ai personaggi, tipo anche Michela Murgia, Sven-Göran Eriksson, Franco Di Mare e non ne ricordo altri, piace far sapere che sono malati?
Matteo Bianchi,Roma
Leggo sempre più spesso di vip ammalati o moribondi. Capita a tutti, forse lo fanno per attirare l’attenzione?
Carlo Ferrara

Cari lettori,
c’è una premessa da fare, e riguarda il lavoro giornalistico. Non è che uno scende per strada e trova un personaggio pubblico che lo ferma e gli dice che sta per morire. Sono cose che accadono se hai una credibilità, se scrivi per un giornale credibile, se ci lavori su. L’intervista di Elvira Serra a Oliviero Toscani nasce appunto dal lavoro. Come quella di Giovanna Cavalli a Franco Di Mare, uscita sul sito del Corriere in contemporanea all’intervista televisiva a Fabio Fazio che ha commosso l’Italia. Detto questo, la tendenza esiste, ed è interessante. Non vergognarsi della malattia. Non avere timore di mostrarsi fragili. Non avere paura di dire addio. Era meglio il pudore, il riserbo, la riservatezza? Ognuno è libero di scegliere. Se hai vissuto in pubblico, puoi sentire la necessità di congedarti in pubblico. Nel caso di Oliviero Toscani, hanno colpito molto le sue foto (sempre scattate da Elvira Serra), e non solo perché è il più importante fotografo italiano degli ultimi decenni. Ricordo la sua immagine del malato di Aids morente: fu l’altro volto degli anni 80, che di solito apparivano colorati, sorridenti, spensierati. Sanguigno, coraggioso, polemico, Toscani ha attraversato questi decenni con una forza espressiva tale che pensavamo fosse un ragazzo, non un ottantaduenne alle prese con la malattia. Per questo la sua fine, anche se arrivasse tra cent’anni, sarebbe comunque una fine prematura. Morire in pubblico è forse meno doloroso? Ricordo una scena di Baarìa, il film di Tornatore, con mezzo paese attorno al letto del morente, a cui affidare un saluto alle persone care. I re morivano in pubblico, per mostrare ai sudditi che se n’erano andati e toccava al successore: di Sebastiano, re del Portogallo, caduto in battaglia in Marocco, non fu mai trovato il corpo, e per anni se ne attese messianicamente la ricomparsa. Sulla sua lapide Franco Califano voleva fosse scritto: «Non escludo il ritorno» .