La Stampa, 3 settembre 2024
Intervista a Gianrico Carofiglio sulla sinistra
Roma – Gianrico Carofiglio spera in una sinistra allegra («la militanza non deve essere triste»), capace di far sognare e senza paura di parlare di ricerca della felicità. «Le elezioni non si vincono con la lista della spesa», sospira citando lo psicologo americano Drew Westen. Una vita da magistrato, poi scrittore di successo, in mezzo anche un’esperienza da senatore Pd terminata una decina d’anni fa, ci ha riflettuto a lungo, su quello che manca alla sua parte politica per riuscire a imporre la propria idea di società e affermarsi nelle urne. E si è convinto che non sia sufficiente «essere contro qualcosa, e nemmeno elencare il proprio programma, per quanto giusto e importante: le elezioni si vincono proponendo un sogno di futuro».Cosa intende dire?«La sinistra deve imparare a comunicare in maniera emozionale i valori che incarnano la sua idea di politica e di mondo. Spesso, non solo in Italia, perde o vince a fatica perché gli avversari sono più bravi in questo».In Italia è stata più brava Giorgia Meloni a proporre un’idea di mondo?«Meloni e la destra in generale raccontano un mondo di fantasia, una pratica che Zygmunt Bauman chiama “retrotipia”, una sorta di utopia di un passato inesistente».Il passato così sereno e perduto…«L’esempio classico è la sicurezza. Spesso dicono: le nostre città devono tornare a essere sicure. Esistono certamente contesti in cui è aumentata l’insicurezza, ma davvero non credo che i cittadini vorrebbero tornare alla realtà dei decenni passati: a inizi anni ’90 c’erano circa 2000 omicidi l’anno, e nel 2023 sono stati circa 300. In generale tutti i reati di violenza predatoria sono in costante decrescita».Perché si rifugiano nel passato?«È una leva manipolatoria e populistica per raccogliere voti su un’idea utopica di passato. A tanti piace, forse per ragioni personali. La prima volta che mi ci scontrai ero al liceo: avevo una professoressa che non faceva che decantare il periodo del fascismo. Un giorno le chiesi: ma non pensa che forse lo ricorda con tanta nostalgia perché ha nostalgia della sua gioventù? Si arrabbiò moltissimo».Fatto sta che la destra è più brava a tentare di far sognare gli elettori: il primo è stato Berlusconi, non crede?«La più potente metafora politica degli ultimi 50 anni è sua: la discesa in campo. Nel ’94 era un termine usato dai telecronisti sportivi soprattutto per la Nazionale, evocava uno stadio festante, l’inno, i cori. Un fattore identitario per molti che erano delusi e lontani dalla politica. Dopodiché però era un sogno vuoto di contenuti: i progressisti devono sapere costruire metafore potenti per raccontare un mondo futuro possibile».Un sogno di futuro?«Io credo che una politica di sinistra consapevole dovrebbe esplicitamente parlare della ricerca della felicità».L’obiezione che le faranno in molti sarà: per essere felici servono salute, lavoro, diritti.«Non c’è dubbio, quella è la lista della spesa e senza fare la spesa non si campa. Ma per coinvolgere le persone, occorre inserire questi temi in una trama emozionante, e includere tra i valori il benessere non solo materiale. Il Pil non può essere l’unico indicatore di appagamento di una società».Lo diceva già Kennedy negli anni Sessanta…«E anche Amartya Sen negli anni Ottanta. Io sono un estimatore del pensiero del professore di Harvard Michael Sandel, che critica l’etica materialistica e spesso brutale della cosiddetta società del merito. Perché se partiamo dal presupposto che il primo, il meglio piazzato in una società, se l’è meritato, capovolgendo il discorso dovremmo dire che anche gli ultimi si sono meritati la loro condizione. Questo genera rabbia e rancore, premesse perfette per ogni forma di populismo».Questo secondo lei dovrebbe dire la sinistra?«Dovrebbe proporre un’idea di mondo fondata sulla dignità delle persone, inserite in una società mite».Al momento per dire la verità lo schieramento di centrosinistra discute sulle dimensioni del campo largo…«Una discussione che non mi esalta, ma so che va fatto anche questo. Si possono avere i piedi nel fango, inteso come le fatiche della quotidianità, con lo sguardo alto verso il futuro. E soprattutto, facendo politica con allegria».Cosa ne pensa di questo dibattito su Renzi sì o no nel campo largo?«Non invidio Elly Schlein che deve gestire questa situazione».Schlein secondo lei è in grado di suscitare sogni e speranze?«Ma certo, però sono necessarie correzioni strategiche».L’ha delusa?«Da poco prima delle Europee ho notato un positivo cambio di marcia, nei contenuti e nel modo di esporli. Però le direi di evitare il gioco dialettico di politici del passato che a domande precise rispondevano a volte con un giro di parole».La comunicazione è politica?«Certo. Se hai ragione ma non lo sai far percepire agli altri, la tua qualità non servirà. Pensare che la comunicazione sia un accessorio è segno d’immaturità».Ha funzionato secondo lei la comunicazione di Meloni imperniata sull’underdog?«Ha funzionato, per quanto per certi aspetti fittizia e manipolatoria, visto che era vicepresidente della Camera a 29 anni. Sarà stata pure un underdog, ma molto tempo fa. Questa narrazione si innesta poi sul messaggio complottista».Non esiste, come dice Meloni, un sistema di potere che prova a sconfiggere con sotterfugi chi ha vinto le elezioni?«Non scherziamo. Esiste un vittimismo continuo, che è il nome d’arte del rifiuto di assumersi le proprie responsabilità».