la Repubblica, 3 settembre 2024
Intervista a Bebe Vio, atleta
Arriva la regina Bebe Vio. Per la sua gara di fioretto hanno preparato un teatro regale: il Grand Palais, che ha emozionato tanti campioni delle Olimpiadi. «Siamo andati a vederlo: c’è chi è corso in bagno a vomitare, chi piangeva, chi non parlava più. È stato super emozionante, palazzetti così belli è raro averli. È magico riuscire a fare quel che sogni da tanto in un luogo così bello, possente, immenso. Non vedo l’ora». Campionessa a Rio 2016, Tokyo 2020, icona mondiale non solo dello sport o del movimento paralimpico: basta ricordarla con un vestito luccicante durante la sfilata di moda della cerimonia inaugurale delle Olimpiadi, o davanti al parlamento europeo di Strasburgo che le ha tributato una standing ovation. Parigi è la sua città da molto prima che cominciassero le Paralimpiadi. A poche ore dalla gara di domani risponde dal Villaggio dove gli azzurri stanno seguendo tra gli schiamazzi le gare dei compagni.Bebe Vio, come sta vivendo la sua terza Paralimpiade rispetto alle altre?«A Rio 2016 provavo l’emozione della prima volta. Tokyo è stata bella perché segnava la rinascita dopo il Covid: noi ci tenevamo tantissimo, io venivo da un brutto infortunio, è stato un miracolo esserci (aveva rischiato la vita per una grave infezione, ndr ).A Parigi arrivo con un’altra testa, il villaggio e gli stadi sono pieni di gente. C’è la nazionale italiana più numerosa di sempre, i ragazzi sono bravissimi, stanno sfornando una medaglia dopo l’altra e ci fanno piangere ogni due secondi. È bello far parte di questa squadra».Da Rio a oggi quant’è cambiata lei e il mondo attorno a lei?«Sono invecchiata tanto, sembra ieri ma otto anni sono tanti (ride ).È stupendo come il mondo sia cambiato per i paralimpici, la figura dell’atleta sta crescendo. Siamo entrati ufficialmente nei gruppi militari: poter fare dello sport un lavoro è stato il traguardo più grande. Ma anche vedere che i bambini parlano di sport e disabilità a scuola, giocare con Barbie e pupazzi con le protesi o le carrozzine. La disabilità diventa normalità. Non siamo più eroi, come si pensava una volta, ma atleti».Parigi è un punto di svolta?«Il primo segnale è arrivato quando hanno deciso di fare un logo unico. È fighissimo il fatto che Olimpiade e Paralimpiade convivano. I francesi sono stati davvero bravi. Sono testimonial di Parigi 2024 e tutte le volte che sono venuta ho visto un cambiamento positivo».Ha colpito il video in cui estraeva dal suo kit per Parigi i calzini che non può indossare.«Diciamo che ho la fortuna di avere una famiglia che ci ha insegnato subito a prenderci in giro e a ironizzare su tutto. La frase peggiore che sento è sempre: “Nonostante tutto guarda cosa sta facendo”. Questo “nonostante tutto” mi mette una tristezza… Siamo atleti che vogliono portare in alto il nome dell’Italia, ma lo scopo è anche ironizzare. Rigivan Ganeshamoorthy, il ragazzo che vinto l’oro del disco stabilendo tre record del mondo, ha rilasciato l’intervista più bella mai fatta secondo me. Gli hanno chiesto “ti stai trovando bene?”, e lui ha risposto: “Sì, però un po’ troppi disabili”. È questo che vogliamo far passare, l’ironia su qualsiasi cosa».Si comincia a parlare di modelli diversi di perfezione del corpo.«Sì, meno male. Sta cambiando tutto. Sta cambiando il modo di comunicare, anche nel modo di rispondere degli atleti. Non è più un tabù parlare di normalizzare delle abilità, non delle disabilità. Tutto questo accresce la nostra cultura. Nel momento in cui conosci qualcosa non ti fai più problemi a fare o non fare domande, a guardare o non guardare: semplicemente vedi una cosa come un’altra. Ormai lo sport ha sdoganato la disabilità, è servita tantissima attività per farla diventare qualcosa di normale, sulquale è giusto anche ironizzare».“Che faccia da bimba avevo!” ha scritto sui social postando una foto da tedofora a Londra 2012.«Bisogna emozionarsi come un bambino, ogni cosa è un’emozione grande. Quindi mi piace farmi emozionare, mi piace farmi stupire da qualsiasi cosa. E intanto, avete visto cosa è successo nei 100 metri?».L’argento di Maxcel Amo Manu?«Olimpiadi, Paralimpiadi, con gambe o senza gambe, sui 100 l’Italia è sempre Marcell. Come Jacobs».A Parigi gareggerà come Beatrice Maria Vio Grandis, aggiungendo il cognome di sua madre.«Ci tenevamo tanto, siamo fieri della famiglia di mamma. Visto che era possibile aggiungere il suo cognome è stato giusto averli tutti e due, è puro orgoglio familiare».La standing ovation a Strasburgo è stata la più grande emozione finora? E quali vuole provare negli anni dopo Parigi?«Ho avuto la fortuna di avere una vita piena piena piena. Ne abbiamo viste tante, ma la mia medaglia preferita resta ancora il bronzo a squadre a Rio de Janeiro. Lo so che non è la più bella come colore, però nel mio cuore rimarrà per sempre l’emozione piena della mia vita. Alle mie compagne dico che dobbiamo festeggiare ancora. Poi dopo, chissà: intanto mi godo Parigi».