la Repubblica, 3 settembre 2024
Pedro Almodóvar difende l’eutanasia
Venezia – L’eutanasia secondo Pedro Almodóvar. A settantaquattro anni il cineasta madrileno debutta in lingua inglese e porta in concorso alla Mostra una storia d’amicizia tra due donne, la scelta di una fine e una rinascita. La stanza accanto,protagoniste Tilda Swinton e Julianne Moore. Una è corrispondente di guerra malata di cancro, l’altra ha appena scritto un libro sulla paura della morte. Eppure sceglie di accompagnare l’amica ritrovata in quella casa nel bosco dove una pillola comprata nel darkweb darà alla malata la scelta ultima.«Il libro di Sigrid Nunez La vita attraverso è stato il veicolo per iniziare una nuova era in un’altra lingua. Tilda e Julianne hanno capito esattamente il tono: più contenimento, niente melodramma» dice il regista. Tenerezza, bellezza, poesia – la fotografia di Eduard Grau, le musiche di Alberto Iglesias – ma anche una presa di posizione decisa. «È il mio modo di esprimermi forte e chiaro su un argomento preciso: è un film a favore dell’eutanasia. La malattia è presente, ma il personaggio, ammirevole, dice che si può liberare dal cancro prendendo quella decisione: “il cancro non l’avrà vinta, se arrivo prima”. Ma lei e l’amica devono agire come fossero delinquenti, per Julianne il durissimo interrogatorio di un poliziotto fondamentalista. Tu devi essere padrone della tua esistenza. In Spagna c’è una legge, in tutto il mondo dovrebbero esserci norme perché il medico possa aiutare il suo paziente».Non solo una storia di morte, maanche di rinascita: «Le persone non muoiono del tutto. Impregnata dalla mia visione atea dell’esistenza, nella sceneggiatura del film c’è la possibilità della reincarnazione o di qualche cosa oltre il buio, nell’aldilà. Martha si reincarna, in modo non letterale o paranormale, nella sua amica Ingrid».Nell’atmosfera sospesa della casa nel bosco, incombono le parole diGente di Dublino: “La neve cade sul cimitero solitario, cade lieve nell’universo, e cade lieve su tutti i vivi e sui morti”. Non è facile trovare le parole per parlare della morte, ammette Almodóvar: «Sono nato nella Mancha, c’è una grande cultura sulla morte, più femminile. Mia sorella ha questa conoscenza. Io sono immaturo nella mia percezione: la morte è ovunque, la guerra, i telegiornali ce la rimandano. Ma non la comprendo. Ogni giorno che passa è uno in meno da vivere, invece vorrei sentire di aver vissuto un giorno in più. Il personaggio di Julianne impara a convinvere con la morte. Alla fine mi sono sentito meglio».Per il cineasta La stanza accanto è anche un film sull’empatia, la capacità di aiutare qualcuno, «è una risposta a quelli che in Spagna chiamiamo discorsi di odio. Dovremmo abbracciare i bambini che arrivano in Spagna sulle barche e il governo manda la Marina per impedire loro di entrare. È un delirio, stupido, ingiusto». L’altro tema forte è quello ambientale «in un mondo pieno di pericoli – spiega Almodóvar – bisogna guardare al cambiamento climatico: il film parla di una donna che agonizza in un mondo che è agonizzante. Ognuno di noi deve manifestarsi, agire contro questo negazionismo. L’allegria è il modo migliore per resistere».A proposito del mondo cinematografico di Almodóvar, Julianne Moore racconta che «da americana, vedendo tanti suoi film pensavo che fosse molto spagnolo, ma in realtà è semplicemente Pedro: nella sua casa c’erano tutti riferimenti, colori, oggetti, la sua visione del mondo. Da attrice ti arrendi alla visione del regista. Una fortuna entrare nel cinema di Pedro». Tilda Swinton ricorda: «Negli Ottanta a Londra con Derek Jarman eravamo emarginati dalla cultura dominante, il cinema di Pedro ci ha aiutato a resistere: è sempre stato al centro della movida, il volto del cambiamento culturale, di questo ci alimentavamo. A Pedro ho detto che avrei imparato lo spagnolo pur di lavorare con lui. Invece ha creato questo spazio per me e Julianne, due rosse, con i suoi colori. Oggi in lui sento ancora la freschezza e la disciplina che mi ha ispirato, come quando ero una studentessa e ho visto il suo primo film».