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 2024  settembre 03 Martedì calendario

In Italia ci sono una cinquantina di Caffè Alzheimer

Nel Monitor europeo demenze 2023 di Alzheimer Europe il livello di cura e assistenza ai pazienti con Alzheimer si misura con dieci indicatori: il punto numero due sono i Caffè Alzheimer e l’Italia prende un’insufficienza (come sugli altri nove ambiti, del resto). Le stime dicono che le persone con demenza triplicheranno entro il 2050, passando da 57 milioni del 2019 a circa 153 milioni. E mentre si lavora molto sulla prevenzione e sulla ricerca farmacologica, poco si fa nel campo dell’assistenza, quasi completamente sulle spalle delle famiglie. Fondazione Maratona Alzheimer ha organizzato per la prima settimana di settembre, mese dedicato alle demenze, sette giorni di lavori a Cesenatico e una Maratona finale per sensibilizzare sulla malattia e l’assistenza. Quest’anno ci sarà anche il terzo forum nazionale dal titolo “È l’ora dei Caffè Alzheimer”. Già, ma che cosa sono e cosa fanno i Caffè Alzheimer? «Sono nati nel Nord Europa una ventina di anni fa – racconta Stefano Montalti, presidente Fondazione Maratona Alzheimer – e l’esperienza è stata poi riletta in Italia attorno al 2008-2011 dal professor Marco Trabucchi. Il Caffè è in genere ospitato in circoli culturali, parrocchiali, centri sociali. L’accesso è libero, o attraverso l’intermediazione dei servizi sociali o dei Cdcd (Centri per i disturbi cognitivi e le demenze) delle Asl».Oggi ce ne sono una cinquantina in tutta Italia. L’obiettivo però è arrivare a mille Caffè. Grazie ai quali si potrebbero raggiungere trentamila pazienti con Alzheimer. Il costo è contenuto, l’esperienza replicabile, i soldi ci sarebbero (quelli del Fondo Alzheimer nazionale e del Fondo Sanitario), e per questo FondazioneMaratona Alzheimer ha scritto alla presidente del Consiglio chiedendo di inserire i Caffè nella rete dei servizi territoriali e sanitari. Ma veniamo alla parte pratica dei Caffè, aperti in genere almeno una volta a settimana per circa tre ore. Sembra poco, ma può essere moltissimo per quei malati agli stadi iniziali o medi che hanno bisogno di socializzare ma anche di stimolazioni specifiche.«All’inizio i Caffè nascono comemomenti di aggregazione per condividere problemi legati alla malattia ma anche per alleviare il peso dell’assistenza che è h24 e per 365 giorni all’anno – racconta Laura Calzà, ordinaria all’università di Bologna e presidente del comitato scientifico di Fondazione Maratona Alzheimer – poi il progetto si è allargato e si è arricchito e da assistenziale-sociale sta diventando scientifico, nel senso che stiamo valutando il possibileimpatto delle attività con parametri il più possibile oggettivi. Abbiamo anche pubblicato un manuale per operatori e famiglie con informazioni scientifiche e consigli».Le attività nei Caffè Alzheimer variano da quelle puramente ricreative, come pittura, disegno, teatro o musica, alla terapia assistita con gli animali, all’attività fisica come ginnastica dolce, yoga, tai chi e stimolazione motoria. E ovviamente percorsi di potenziamento cognitivo con lo psicologo. «Sono esercizi semplici per allenare la memoria – continua Calzà – I Caffè sono luoghi di cura non parcheggi. E il nostro lavoro punta a stilare linee guida operative che uniformino le attività in Puglia come in Trentino». Questo approccio serve a far star meglio i malati? Fondazione Maratona Alzheimer, insieme al Cnr di Padova e all’Associazione di Psicogeriatria, ha portato avanti un progetto pilota che si è appena concluso raccogliendo con questionari in tre momenti (a 0, 6 e 12 mesi) i dati di 168 malati, 161 caregiver e 114 professionisti che lavorano nei Caffè per cercare di valutare eventuali miglioramenti dello stato cognitivo globale, l’impatto delle attività sulla qualità della vita, lo stato dei sintomi neuropsichiatrici. Il risultato? «Non ci aspettavamo un miglioramento perché il decadimento cognitivo fa parte dell’evoluzione della malattia – precisa Bertelli – ma diminuiscono invece depressione e sintomi comportamentali e la qualità della vita rimane discreta. Per il malato, e in misura maggiore per chi ne ha cura».