La Stampa, 2 settembre 2024
Nel paese albanese della prigione per migranti
Gjadër (Albania) – È un piccolo paese contadino. Girano carretti trainati da cavalli. Sono terre arse e campi di mais, orti di patate e cocomeri. Davanti al centro di detenzione per migranti italiano c’è solo una villetta nuova, con la facciata appena riverniciata. È la casa costruita dal signor Simon Gega dopo quarant’anni di lavoro. Dove ha lavorato? «Dal 1999 sempre in Italia, in Toscana, nelle serre di Torre del Lago Puccini. Facevo il contadino qui, così come faccio il contadino nel vostro Paese. Sono partito quando ho capito che non c’era più futuro, con la caduta del comunismo se ne sono andati via tutti, l’ho fatto anche io. Per quattro anni sono stato in Italia senza documenti, ed è stata durissima. Ma poi ce l’ho fatta. Ce l’abbiamo fatta: io, mia moglie Maria, i miei figli Alfrida e Andrea, tutti abbiamo la cittadinanza italiana».È come uno specchio rovesciato. Il passato del signor Gega si riaffaccia adesso come una maledizione davanti alle finestre della sua casa nuova. «Io dico che i migranti vanno accolti. C’è posto per tutti su questa terra. C’era posto anche in Italia. Non ho capito perché sono venuti a costruire questa prigione proprio qui».Alla prigione manca la recinzione. Hanno iniziato a montarla in questi giorni di sole a picco. Manca l’allacciamento fognario. Ma si vede il resto: ogni container avrà due letti a castello. C’è il lato per le pratiche legali, quello della celle di sicurezza. Nei piani del governo di Giorgia Meloni verranno deportati qui 3 mila migranti al mese. Per un totale di 36 mila persone all’anno. Verranno selezionate direttamente sulle barche dei soccorsi, in mezzo al Mediterraneo, sulla base degli accordi con i Paesi d’origine per il rimpatrio. L’Albania sarà il posto per i migranti da rimandare indietro, questo pare di capire. Un luogo di afflizione, a scopo dimostrativo. L’Albania sarà il posto dei respingimenti per mano italiana in terra straniera. Straniera?Qui l’italiano è parlato come l’albanese. L’unica industria vicina al centro di detenzione è uno dei cementifici del gruppo Colacem, terzo produttore italiano, un colosso fondato a Gubbio nel 1966 dalla famiglia Colaiacovo.Nel 1990 la scuola di Gjadër aveva mille bambini, oggi meno di cinquanta. Tutti quei bambini sono diventati grandi e poi sono andati a cercare fortuna dall’altra parte del mare. Ecco perché il signor Gega vive con amarezza quello che sta per succedere davanti alla casa costruita sulla terra ereditata dai genitori. «Solo chi non è stato un migrante può concepire un posto per respingere le persone in cerca di fortuna».Il numero di italiani d’Albania qui è in continuo aumento. Non ci sono solo i migranti che tornano a casa per le vacanze o per la pensione, ci sono i nuovi arrivati: carabinieri, poliziotti, funzionari ministeriali, uomini dei servizi. «Hanno chiesto in affitto la mia casa, ma io non ho voluto darla», dice ancora il signor Gega. «L’ho costruita con le mie mani. È la terra della mia famiglia. Ogni tanto devo tornare qui, anche solo per dieci giorni all’anno». Le forze dell’ordine italiane avranno giurisdizione dentro il centro, ma solo lì. Non possono identificare una persona che cammina davanti alla gabbia di recinzione. Perché quello è di nuovo territorio sotto la giurisdizione albanese. E si capisce, già adesso, che non sarà semplice gestire questo doppio regime amministrativo. Cosa succederà in caso di rivolte dentro o fuori dal centro? Cosa succederà in caso di proteste o di fughe?Altri nuovi italiani stanno arrivando. Il reclutamento della mano d’opera albanese è stata affidato dal ministero dell’Interno alla cooperativa Medihospes di Bari che si è offerta di gestire il servizio a una cifra del 5% inferiore a quella indicata nel bando. Totale dell’investimento: 133,8 milioni di euro in due anni. Spese legali, sicurezza, consegna dei pocket money e delle tessere telefoniche ai migranti. Stipendi per tutte le persone coinvolte. È Medihospes che sta reclutando 300 lavoratori albanesi che ruoteranno fra questo centro di detenzione amministrativa di Gjadër e l’hotspot al porto di Shëngjin. Cercano, fra gli altri, 6 autisti per i continui trasporti in pullman fra le due strutture: «Il personale selezionato verrà assunto con contratto a tempo indeterminato con periodo di prova di 3 mesi. Disponibilità al turno notturno. È richiesta la conoscenza della lingua italiana, scritta e parlata». Così c’è scritto nell’offerta di lavoro. «A tempo indeterminato». Così questa zona, nel Nord dell’Albania, diventerà una specie di colonia penale italiana.Non ci sono precedenti analoghi. È una esternalizzazione delle frontiera sotto gestione del governo di Giorgia Meloni. Eppure: in Italia il tempo necessario per ottenere una risposta definitiva a un richiesta di asilo è di circa due anni. Come potranno ruotare qui 3 mila persone al mese nel rispetto dei diritti umani e costituzionali?Tutto questo non si sa. Qui si vede solo una terra povera, gente che fatica, file di container impilati l’uno sull’altro e l’inizio di una recinzione alta sette metri. La Ong tedesca “Mission Lifeline” nei giorni scorsi è venuta a prendere informazioni per stendere un report di denuncia. Titolo: «Campi di deportazione italiani in Albania».