la Repubblica, 2 settembre 2024
Ritratto di Gian Maria Volonté, attore
Venezia – C’è stato nella seconda metà del Novecento un italiano più fico di Gian Maria Volonté? Pochissimi, nel caso. Attore strepitoso, bello, intelligente, carismatico, capace di sequestrare l’attenzione del pubblico con la parola ma pure uno sguardo, una smorfia, una scrollata di spalle, un’afasia, persino una pettinatura. Mentre alla Mostra del cinema di Venezia arrivano George Clooney e Brad Pitt, solo per dirci che due attori cool possono tenere in piedi anche un film inesistente, l’Italia risponde simbolicamente con un documentario sul suo più grande anti-divo: Volonté, l’uomo dai mille volti, di Francesco Zippel. Vita e film di Gian Maria, figlio del fascistissimo Mario e lui, invece, militante comunista. «Si emancipò da una condizione familiare che coincideva con l’autobiografia del Paese», dice Daniele Vicari, uno dei molti registi e attori che parlano nel film esprimendo sincera e comprensibile idolatria. Il fratello Claudio, attore pure lui ma senza fortuna, di destra chissà se per discendenza paterna o rivalità fraterna, morì suicida dopo un brutto fatto di cronaca.Politica e cinema. Cinema per fare politica: «Faccio più o meno un film all’anno e lo scelgo con il criterio delle radici culturali. Potrei farne di più nell’ambito della cinematografia che fa riferimento a un mercato sorretto dalle multinazionali». Era così. Da trovarobe sul carro di un teatro ambulante a mito del cinema europeo. Gli piacevano: la vela, giocare a carte e le lotte operaie. Non gli piacevano: il disimpegno, la promozione dei film e le interviste tv. A Sandra Milo che in collegamento per Blitz di Gianni Minà gli chiedeva quali obiettivi volesse raggiungere nella vita, rispose dopo un attimo di pausa: «Sapere se parli così anche quando sei a casa». Non era nemmeno sprezzo, più curiosità dell’ignoto.Quell’uomo poteva interpretaretutto: il meridionale e il nordico, l’anarchico e il fascista, il bandito e il poliziotto. Fece persino un doppio e opposto Aldo Moro, quello febbrile e respingente di Todo modo, film di Petri da Leonardo Sciascia, girato prima del 1978, e quello dolente e fiero nel Caso Moro di Giuseppe Ferrara, quasi un risarcimento postumo allo statista democristiano ucciso dalle Brigate rosse. Il commissario di lingua neoborbonica di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, con il suo strepitoso monologo sulle virtù della repressione poliziesca, è ancora oggi a distanza di più di 50 anni una cosa che, se non l’hai vista, facciamoci del male. L’interpretazione e il film non piacquero all’ultrasinistra dell’epoca, detto tutto.In un’era in cui i migliori attori italiani fanno i caratteristi nelle produzioni straniere, come Pierfrancesco Favino nel film su Callas (a proposito, ma se Favino si indignò tanto l’anno scorso perché un attore straniero interpretava Enzo Ferrari, perché invece Angelina Jolie può fare la greca Callas?), Volonté ci riporta in un’era di trionfi e riconoscimenti. Nel 1972, a Cannes, successe una cosa mai più accaduta in un Festival cinematografico: Volontè ottenne la menzione speciale come protagonista di due opere in concorso, Il caso Mattei di Francesco Rosi e La classe operaia va in paradiso di Elio Petri, che vinsero ex aequo pure la Palma d’oro per il miglior film. Poi la sua Palma Volonté la cedette, per finanziare una serata al casinò. Un Orso d’argento lo regalò al suo agente.Morì nel 1994, durante le riprese del film Lo sguardo di Ulisse di Theo Angelopoulos, girato nella Bosnia sventrata dalla guerra. Il giorno prima che il suo cuore cedesse, gliel’aveva predetto una zingara, si era spostato in pullman da Mostar a insieme alle maestranze. Durante il viaggio avevano cantato canzoni partigiane.