Corriere della Sera, 2 settembre 2024
Netanyahu rivolge frasi gelide agli ostaggi liberati
Anch’io sono stato torturato. A me non crede più nessuno. Gli ostaggi liberati dalla prigionia a Gaza, ma ancora incarcerati nell’angoscia, speravano di trovare un minimo di empatia nella coppia primoministeriale. Che una settimana fa ha accettato di incontrarli per riempire quei buchi di egocentrismo che hanno colmato il calendario in questi undici mesi di guerra e allontanare le accuse di vivere in un’altra dimensione, uno spazio ricreato dalle guardie del corpo come il ristorante a Cesarea blindato e nascosto dietro i teli blu per il loro pranzo di sabato.
Gli audio dell’incontro di una settimana fa, rivelati dai telegiornali, riecheggiano invece il distacco di Benjamin Netanyahu, che sembra voler solo riascoltare la sua voce in un’eco. Così ricorda il periodo di addestramento nelle forze speciali – «mi hanno picchiato, è stato molto doloroso, ne sono uscito» – in risposta ai racconti degli abusi subiti da una sequestrata. Mentre la moglie Sara si lamenta di aver vissuto una vita normale fino a quando non ha sposato il premier più longevo nella storia del Paese. Replica di una prigioniera rilasciata a novembre: «Anch’io conducevo una vita normale fino a quando non sono stata rapita».
Nel giorno che gli israeliani considerano il più scioccante, il più doloroso, dai massacri del 7 ottobre, il primo ministro scompare invece di mettere la faccia, seppur impassibile e ricoperta di cerone, sulla tragedia. Cancella la visita a un istituto di Gerusalemme per l’apertura dell’anno scolastico, non riunisce il consiglio domenicale dei ministri, lascia passare ore prima di diffondere un comunicato e un video registrato, dopo aver promesso una conferenza stampa con (forse) qualche domanda. Ormai i famigliari lo accusano apertamente di «aver condannato i nostri cari», lo chiamato Mister Morte invece che Mr Sicurezza, lo slogan che ha usato nelle tante campagne elettorali vinte. Ricordano che a ogni passaggio decisivo nelle trattative Bibi, com’è soprannominato, ha tirato fuori una nuova formula che allontanava l’intesa e prolungava la guerra: «vittoria totale», «mai Gaza sotto il controllo del presidente Abu Mazen», fino a definire la linea di sabbia tra la Striscia e l’Egitto come una linea rossa invalicabile.
Nella notte tra giovedì e venerdì ha convocato una riunione di emergenza per far votare ai ministri la decisione di mantenere le truppe israeliane nel Corridoio Filadelfia. Al mattino il giornalista Amit Segal, vicino all’estrema destra, pubblica un’analisi basata su fonti nella coalizione e spiega che «Israele resterà a Gaza fino alla prossima generazione». Come a dire: inutile lavorare a un accordo temporaneo, se tanto vogliamo occupare la Striscia. In mezzo le vite degli ostaggi ancora tenuti dai terroristi.
Alla riunione l’unico a opporsi è Yoav Gallant, il ministro della Difesa. Non è l’unico a urlare, alza la voce anche Netanyahu. E quando il consigliere Ron Dermer commenta: «Il primo ministro può decidere quello che vuole», l’ex generale – di sicuro non una colomba – risponde duro: «Può anche decidere di uccidere tutti gli ostaggi». Adesso fonti nel governo lasciano trapelare al quotidiano Haaretz che «Netanyahu sapeva e sa che i rapiti hanno poco tempo. Ha dimostrato di essere narcisista e corrotto».
Al punto di diventare sprezzante con i famigliari dei prigionieri che lo imploravano di raggiungere un patto per il rilascio degli amati: «Anch’io vorrei andare a piedi in linea retta fino all’Italia. Cosa devo fare, prosciugare il mare»?