Corriere della Sera, 2 settembre 2024
Oggi sciopero generale in Israele
Tel Aviv - I ristoranti abbassano la saracinesca perché vogliono che nessuno si sieda al tavolo ed esca per strada a ribaltare quello del governo. La città che non dorme mai si prepara alla notte più lunga, che questa volta non finisce al mattino. I sindacati dichiarano lo sciopero generale, il Paese si ferma alle 8, niente scuole, niente lavoro. E si chiude al mondo: niente decolli o atterraggi all’aeroporto Ben Gurion. Si ferma la macchina produttiva, resta in moto quella della protesta. Ieri ci sono stati accesi scontri con la polizia: almeno 20 persone sono state arrestate. I corpi dei sei ostaggi recuperati sotto la sabbia di Gaza hanno smosso la terra d’Israele: «Tremerà tutto», promettono gli organizzatori delle manifestazioni. Lucy Arish, giornalista araba israeliana sposata con un attore della serie Fauda, in lacrime incita la gente a uscire di casa: «Questa situazione non può andare avanti».
Perché i famigliari dei sei uccisi – quattro uomini e due donne – sanno che erano ancora vivi, quando il premier Benjamin Netanyahu discuteva di un’intesa per la liberazione dei rapiti. Sanno che tre di loro – Hersh Goldberg-Polin, Carmel Gat, Eden Yerushalmi – erano nella lista dei primi a poter tornare a casa, i nomi indicati da Hamas già il 2 luglio, quando, il presidente americano Joe Biden aveva annunciato una proposta per la tregua accettata dagli israeliani. Vivi. Fino ai colpi alla testa che li hanno uccisi assieme a Alex Lobanov, Almog Sarusi, Ori Danino: i terroristi palestinesi li avrebbero eliminati quando hanno capito che i soldati si stavano avvicinando nel tunnel-prigione costruito sotto Rafah. Vivi fino a pochi giorni fa. I patologi israeliani calcolano che la morte sia avvenuta tra le 48 e le 72 ore prima del recupero dei cadaveri sabato.
Yoav Gallant, il ministro della Difesa, chiede una riunione d’emergenza del governo per ribaltare la decisione di venerdì notte: «È troppo tardi per salvare questi sei ostaggi che sono stati ammazzati a sangue freddo. Gli altri possono essere ancora riportati a casa». L’ex generale è l’unico ad aver votato contro la mozione presentata dal premier Benjamin Netanyahu: le truppe israeliane devono mantenere una presenza nel Corridoio Filadelfia sulla frontiera con l’Egitto, richiesta inaccettabile per Hamas e pure per il Cairo. A Gallant risponde Bezalel Smotrich, ministro messianico e oltranzista: «Non permetteremo una resa che metta in pericolo la nazione».
In realtà i vertici militari e dell’intelligence hanno chiarito di non considerare il Corridoio fondamentale per la sicurezza. Herzi Halevi, il capo di stato maggiore, ha spiegato che le truppe «possono rientrare e riprenderne il controllo quando vogliono». Smotrich e gli altri capi dei coloni puntano alla guerra permanente, al caos che porti all’annessione della Cisgiordania dove ieri tre poliziotti sono stati uccisi in un attentato.
Così Netanyahu aspetta quasi quattro ore prima di diffondere un comunicato e un video. Il presidente Joe Biden e la vice Kamala Harris lo precedono per condannare la «brutalità di Hamas» e allo stesso tempo insistere perché un accordo per il cessate il fuoco sia raggiunto. Il primo ministro israeliano deflette la chiamata al negoziato: «Chi uccide ostaggi non vuole un accordo», per rimarcare che l’organizzazione fondamentalista non sarebbe mai stata seria sull’ipotesi di un patto. Chiama le famiglie dei rapiti ammazzati, almeno due si rifiutano di rispondergli. Chiede perdono ai genitori di Alex Lobanov, ancora una volta non è un’assunzione di responsabilità personale, di chi ha tenuto il potere per tredici degli ultimi quindici anni. Bibi, com’è soprannominato, parla dello Stato come se almeno dal 2009 lo Stato non fosse lui.