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 2024  settembre 02 Lunedì calendario

Intervista alla figlia di due ostaggi di Hamas

Spiega che è come se avessero versato del sale su una ferita che sanguina da undici mesi. È l’effetto che fa sulla pelle di Sharone Lifschitz la notizia dei sei ostaggi israeliani trovati morti in un tunnel di Gaza. La mattina del 7 ottobre, i miliziani di Hamas hanno sfondato la porta della casa dei suoi genitori di 83 e 85 anni nel kibbutz di Nir Oz, e li hanno presi prigionieri. Sua madre, la signora Yocheved, è stata liberata nel corso della breve tregua di novembre – è la donna diventata famosa per il video in cui stringe la mano a un carceriere e gli dice Shalom, «pace» – suo padre, Oded, è ancora nella Striscia.
Risponde al telefono mentre prepara lo zaino che porterà con sé alla manifestazione organizzata dal Forum delle famiglie degli ostaggi, davanti al ministero della Difesa di Tel Aviv: «Da oggi provo una rabbia che non conoscevo».
Perché?
«Siamo al punto di non ritorno: ora basta. Sono devastata, mi brucia il corpo per la rabbia. Ma era prevedibile. Se il primo ministro avesse firmato un accordo di cessate il fuoco, queste sei persone sarebbero vive, sarebbero sopravvissute ai tunnel e sarebbero tornate a casa. Mio padre tornerebbe a casa».
Che cosa chiedete?
«Che tutti i cittadini del mondo spingano i loro leader a costringere Netanyahu e Sinwar a sedersi intorno al tavolo dei negoziati in modo onesto, e che questa catastrofe finisca. Lo chiedo anche ai palestinesi: pretendetelo con noi. Netanyahu e Sinwar mettono davanti gli interessi personali e di carriera politica a quelli dei loro popoli. Sono due fanatici che spandono veleno nella regione».
Netanyahu accusa Hamas di non firmare gli accordi.
«Ognuno fa il suo gioco. Ma è chiaro che per il nostro primo ministro gli ostaggi non sono una priorità. Questa guerra è iniziata per colpa di Hamas che il 7 ottobre ha compiuto l’indicibile. Nel mio kibbutz hanno ucciso, violentato, torturato, strappato arti, tagliato corpi con una brutalità difficile da comprendere. Ma il governo israeliano ha una doppia colpa: non ci ha protetti e ha continuato il massacro».
Se potesse parlare con Netanyahu che cosa direbbe?
«Vattene, hai fallito e continui a fallire. Non hai portato pace ma solo morte e distruzione. Tu sarai per sempre ricordato come colui che ha fatto più morti dal dopoguerra. Sarai ricordato per il male che hai fatto al nostro popolo».
Per molti, l’unico modo per costringere Netanyahu a firmare un accordo è che gli Stati Uniti prendano posizioni più dure.
«Penso che l’istinto americano sia quello di proteggere gli israeliani, ma ci sono altri modi per difenderci. E questo supporto incondizionato ci fa male».
Come ha commentato sua madre l’ultima notizia?
«Mamma spera di poter riabbracciare suo marito, vivo. Mi ha raccontato che quando era prigioniera a Gaza parlava spesso di negoziati con gli altri ostaggi. Speravano che arrivasse la notizia di un accordo e speravano che il governo non facesse blitz per liberarli perché temevano di morire».
Chi è suo padre?
«È un uomo che ha dedicato la vita a creare situazioni di convivenza tra Israele e Palestina. Parla arabo, conosce bene Gaza perché prima dell’arrivo di Hamas aveva molti amici là. Ha sempre combattuto i fanatismi».
Oggi si può ancora parlare di speranza?
«Si può parlare di rabbia. Spero che le strade di Israele vengano occupate da centinaia di migliaia di persone che pretendano il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi. Non possiamo accettare altri morti. Spero che si facciano scioperi e manifestazioni. La comunità internazionale deve aiutarci. Gli ultimi undici mesi non sono stati vita ma solo trauma. Abbiamo bisogno che i palestinesi e gli israeliani vivano insieme, in pace, per il futuro dei nostri figli».