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 2024  settembre 01 Domenica calendario

Gli italiani tornano a mangiare il pane

Il consumo di pane non cala più. Anzi: torna a salire. Dopo decenni di discesa ininterrotta le famiglie italiane hanno ripreso a consumare quello che per secoli è stato l’alimento base della nostra dieta. Nel 1861, anno dell’Unità d’Italia, gli italiani mangiavano mediamente oltre un chilo di pane a testa al giorno, mentre negli ultimi anni siamo scesi a 80 grammi, il minimo storico. Il calo progressivo non si è mai arrestato. Semmai ha accelerato dall’inizio del terzo millennio. Se nel 1980 il consumo giornaliero di pane pro capite era di 230 grammi, nel 1990 era calato a 197 grammi, divenuti 180 nel 2000.
A segnalare l’inversione di tendenza è l’Ismea, l’Istituto dei servizi per il mercato agroalimentare che ha pubblicato lo scorso mese uno studio sul grano tenero e sui prodotti derivati. Pane in testa. L’approfondimento dell’Ismea prende le mosse dalla congiuntura di mercato del frumento tenero. «La fiammata del mercato delle commodity agricole ed energetiche del 2022, conseguente alle tensioni geopolitiche causate dalla guerra tra Russia e Ucraina, si è ridimensionata nel 2023», si legge nel report, e «a partire dalla metà dello scorso anno anche i prezzi del frumento tenero si sono ridimensionati su base tendenziale, mostrando una dinamica in linea con quella rilevata per le commodity agricole ed energetiche».
STABILIZZAZIONE DEI PREZZI
A fronte di una stabilizzazione dei prezzi l’Italia sconta però una forte dipendenza dall’estero. Nel 2023, ultimo anno completo, la bilancia commerciale si chiude con un deficit di quasi 1,6 miliardi di euro, di poco inferiore all’annata 2022, quando il rosso arrivò a un miliardo e 700 milioni. Per la cronaca il Paese da cui importiamo più grano tenero è l’Ungheria che ce ne manda un milione e 519mila tonnellate l’anno. Seguono, molto distanziate, Francia con 740mila tonnellate e Austria che si ferma a 572mila tonnellate.
Se questo è lo scenario competitivo, il pane sta vivendo una primavera inaspettata. «Dopo la flessione degli acquisti domestici di pane sfuso registrata nel 2020 per gli effetti della crisi pandemica che aveva incrementato i consumi dei prodotti sostitutivi e delle farine per la panificazione casalinga», segnala l’Ismea, «dal 2021 ai primi sei mesi del 2024 si è osservato il recupero dei volumi di pane sfuso acquistati, nonostante l’incremento dei prezzi unitari di vendita. Ciò conferma che in un contesto di crisi economica generalizzata i consumi si spostano sempre più verso i prodotti più semplici e di base per l’alimentazione». La crisi di cui parla il rapporto è quella delle vendite al dettaglio, determinata soprattutto dall’inflazione a due cifre.
È in questa congiuntura problematica che si verifica la svolta negli acquisti di pane. «Nei primi sei mesi dell’anno in corso si conferma la dinamica positiva degli acquisti domestici del pane sfuso artigianale effettuati presso la Gdo e nei negozi tradizionali (+1,6% in volume e +4,2% in valore)», scrivono gli analisti dell’Ismea, e «questo risultato evidenzia una inversione della tendenza flessiva in atto da molti anni e segue l’ottima performance già osservata nel triennio precedente, dopo la contrazione del 2020 generata dal prolungato lockdown per il Covid-19. La dinamica è sostenuta verosimilmente dal cambiamento dei gusti dei consumatori, sempre più orientati verso prodotti che utilizzano farine poco raffinate o integrali o con aggiunta di semi, ecc., cui si conforma la panificazione artigianale diversificando la produzione».
Fra l’altro l’aumento delle vendite in volume di pane – pari al +1,6% nel semestre da gennaio a giugno di quest’anno e al +6,6% lo scorso anno – si è verificato in presenza di prezzi in aumento. Nei primi sei mesi del 2024 sono cresciuti ancora del 4,2%, dopo l’impennata del 14,7% registrata nel 2023. Ma per quanto possano essere rincarati micche, sfilatini e panini restano una delle voci più economiche nella lista della spesa degli italiani. E questo deve aver influito parecchio sull’inversione del trend.