Libero, 1 settembre 2024
Intervista a Leonardo Maiuri, medico centenario
Asiago (Vi)
Dottor Leonardo Maiuri, che panorama. E che fresco qui tra le montagne.
«Bello vero? Ci vengo in villeggiatura da 50 anni. D’estate saluto il caldo afoso di Milano e mi trasferisco in questo paradiso per rilassarmi. Guardi che colori».
Qui dal balcone del secondo piano c’è una vista meravigliosa. Però non c’è l’ascensore, come fa?
«Uso le scale! La mia mobilità non è più perfetta, ma ce la faccio ancora ed esco spesso: per un caffè, per girare nei negozi, per cenare con amici in rifugio».
E chi glielo fa fare di tornare a Milano?
«No, no, cosa dice? Ho bisogno di riprendere a fare qualche attività. La noia mi devasta. Non riesco a stare a far niente».
Ma a 101 anni lavora ancora?
«A fregarmi è stato il Covid».
Si è ammalato?
«No, per fortuna. Ma facevo parte di una commissione per decidere sulle invalidità e si è bloccato tutto per due anni. Ora non mi hanno ancora richiamato. Appena rientro a casa mi faccio vivo io».
Altri impegni?
«Lo scorso anno ho fatto il supplente come medico di base e ho vinto pure un concorso».
Per cosa?
«Dottore dei vigili del fuoco. Ma ho rinunciato: pagavano troppo poco».
Ha tuttora pazienti che vengono a farsi visitare?
«Certo, gente che conosco da anni chiede consulenze, consigli. Sono ancora in grado di curare».
È in grande forma. E la domanda di rito a un centenario così brillante è: c’è un segreto?
«Fare qualsiasi cosa, basta che sia lecita. Non fermarsi mai».
L’alimentazione la tiene controllata?
«Ora sì perché purtroppo devo seguire una dieta: ho un’insufficienza renale. Ma ho sempre mangiato di tutto. E bevuto un calice di buon vino, che è un ottimo medicinale e non ha bisogno nemmeno della ricetta».
Buona questa. La televisione la guarda?
«I telegiornali per restare aggiornato. E film sulla Prima Guerra Mondiale, quella del 1915-18: sono un grande appassionato e raccolgo cimeli. La prima volta che sono venuto qui era per visitare un museo».
Torniamoci insieme, al secolo scorso. Lei nasce in Calabria il 2 agosto 1923.
«A Trebisacce, provincia di Cosenza. Papà Francesco è funzionario delle ferrovie, mamma Rachele casalinga. Siamo tre figli, io e due sorelle».
Però cresce a Milano.
«Nel 1931 mio padre si trasferisce e ci spostiamo tutti».
Che bambino è il piccolo Leonardo?
«Scatenato e ribelle, soprattutto a scuola: alle elementari strappo i compiti e mi fanno ripetere la seconda».
Poi?
«Al ginnasio cambio completamente e metto la testa a posto, mi diplomo al liceo Carducci e mi laureo in medicina, specialità pediatria».
Nel frattempo però scoppia la guerra.
«All’inizio noi studenti di medicina siamo esentati dalla leva, poi ci mandano in Germania per un addestramento militare».
Dove?
«A Sennelager, vicino a Paderborn e...».
Come mai quello sguardo strano?
«Quasi uccido Mussolini».
In che senso? Racconti.
«Nel 1944 il Duce viene a farci visita. Io sono in prima fila, con la baionetta, e ci ordinano il presentatàrm. Sarebbe un attimo infilzarlo quando è davanti a me, sarei disposto a morire pur di ammazzarlo e passerei alla storia. Ci penso e ci ripenso ma alla fine, quando è lì, a mezzo metro, non ho la forza di agire. Mi viene in mente mamma e il dolore che le darei».
Perché tanto odio per Mussolini?
«Per l’alleanza con Hitler, che ha rovinato le cose buone fatte prima».
Dopo l’addestramento dove la mandano?
«A Savona in attesa di combattere sulla linea gotica e poi a Massa Carrara».
Quanto tempo ci sta?
«Solo qualche mese perché diserto e scappo a Milano».
A piedi?
«In treno, mimetizzandomi con un berretto da funzionario delle ferrovie».
Poi come fa a non farsi scoprire?
«Resto chiuso in casa per 9 mesi e, quando è proprio necessario uscire, divento Giuseppe Viola».
Scusi, chi è?
«Sempre io, ma con il nome e cognome di una carta d’identità falsa. Alla quale allego pure un finto documento di congedo per invalidità. Tutto perfetto».
Le salva la vita?
«Più di una volta quando vengo fermato dai tedeschi: scoprissero che sono scappato mi fucilerebbero all’istante. Però mi fa perdere anche una fidanzata».
Perché?
«Mi conosce come Giuseppe Viola e non le svelo la vera identità. Quando lo scopre succede il finimondo e mi molla per un americano».
Andiamo avanti. Milano viene liberata il 29 aprile 1945.
«Grande festa, camionette Usa che girano in città, soldati che ci lanciano sigarette vere, le Chesterfield. Altre che le nostre italiane di quel tempo con il tabacco surrogato».
Lei riprende a studiare e si laurea nel 1948.
«Vinco subito un concorso come medico scolastico. Mi presento e c’è una segretaria con gli occhi azzurri, bellissima. “Signorina, guardi che ha una “scurlera”»
Cosa è una scurlera?
«Una smagliatura nelle calze, si dice così in dialetto milanese. Lei mi fissa e mi fulmina: “Ma dottore, allora lei mi guarda le gambe”. E divento rosso».
Poi?
«Per recuperare la invito in Svizzera a mangiare il cioccolato, accetta e usciamo la sera stessa. Risultato: Mirella diventa la mia fidanzata e poi mia moglie. Mettiamo al mondo tre figli».
Matrimonio sfarzoso?
«Macché, ci sposiamo di nascosto».
Addirittura? Come mai?
«I miei hanno una mentalità meridionale, terrona. Secondo loro la moglie dovrebbe essere ricca e si oppongono. Allora li mando a quel paese e faccio tutto in segreto, compreso il viaggio di nozze a Venezia, in treno».
Leonardo, torniamo alla professione di dottore. Lei fa pratica all’ospedale Niguarda.
«E conosco persone importanti, tra cui due futuri sindaci di Milano: tra i miei pazienti ci sono Aldo Aniasi e Carlo Tognoli».
Poi diventa medico di base a Figino, paese di periferia.
«Sono 12 km da Lambrate e ogni giorno li percorro in bici. Poi nonno mi regala un mosquito, passo alla Lambretta e infine, dopo che mi prendo una broncopolmonite, decido di acquistare una Topolino 500 B usata».
A Figino diventa un’istituzione.
«Sono sempre disponibile, anche di notte, e in tutto faccio più di mille visite notturne sfidando i pericoli. Per un periodo mi sposto con un dobermann da guardia, una volta un tizio mi punta la pistola e con l’auto lo sbatto in un fosso».
Tanti pazienti e anche una battaglia ambientalista coraggiosa.
«Quella contro l’inceneritore. In quegli anni riscontro che il numero di persone affette da tumore, in paese, aumenta di numero considerevole, da 1 a 5. C’è un nesso evidente e lo rivelo apertamente. Le industrie e i privati mi accusano di creare il panico, vogliono mandarmi in galera».
Vince lei?
«Sì e sono costretti a mettere l’impianto in sicurezza. Per questa lotta prenderò anche l’Ambrogino d’Oro».
Dottor Maiuri, come sono cambiate le malattie negli anni?
«Ora c’è più stress, più ansia e insicurezza, si riscontrano maggiori patologie psiconeurologiche. E più tumori».
Le cure, invece, come sono cambiate?
«La penicillina, scoperta nel 1928, è stata una svolta epocale, rivoluzionaria per la medicina e noi ne abbiamo tratto grandi benefici quando, nel 1945, è stata distribuita per la prima volta in Italia: gente che prima moriva di broncopolmonite ha iniziato a guarire in poche ore».
Lei, dopo 47 anni da medico di base a Figino, va in pensione nel 1991.
«E l’ambulatorio lo eredita mio figlio Sergio, anche lui dottore, che tuttora lo gestisce».
Leonardo, ultime domande veloci. 1) Rapporto con la religione?
«La accetto, ma non sono un grande frequentatore della chiesa».
2) Paura della morte?
«Mi impressiona e infastidisce l’idea».
3) Rapporto con il sesso?
«Controllato, mai stato un latin lover. Le donne però mi piacciono ancora, ne trovassi una interessata ne approfitterei...».
4) Lei ha da poco compiuto 101 anni, ma quanti se ne sente?
«Faccio ancora tutto fuorché correre. Diciamo 60».
5) Una persona che vorrebbe riabbracciare?
«Mia moglie Mirella, morta nel 2017. E i tanti amici che non ci sono più: arrivare a 101 anni è bello, ma si resta soli».
Ultima. Lei ha un profilo Facebook molto attivo: rapporto con la tecnologia?
«Ho un cellulare, uso WhatsApp e mi diverto sui social mettendo foto e riflessioni. Sotto un centenario moderno».