Corriere della Sera, 1 settembre 2024
La Cleopatra di Taylor e Burton
Forse sarebbe bene rivedere oggi, a distanza di oltre 60 anni, la Cleopatra con Liz Taylor e Richard Burton, uno dei film più lunghi (243 minuti, fino a 251 la versione estesa) e costosi della storia (44 milioni di dollari, più di 300 di oggi), kolossal leggendario dagli esiti finanziari pessimi che sbancò le casse della Fox con riprese che non finivano mai, iniziate a Londra e proseguite a Roma.
La storia di Cleopatra e Marco Antonio coi due attori anglo-gallesi sembrava in realtà, dalla Hollywood sul Tevere del ’63, Chi ha paura di Virginia Woolf?: liti continue, matrimonio, divorzio, riappacificazione, barili di whisky, residui della Dolce vita felliniana, tracheotomia e tranquillanti e il trionfale ingresso della regina in Roma fra masse plaudenti.
Il film è tratto da un libro di Franzero ridotto da Joseph L. Mankiewicz di cui questo resta, a conti fatti, l’unico film sbagliato tra titoli come Eva contro Eva, Bulli e pupe, Improvvisamente l’estate scorsa. Fotografia in 70 mm per lo storico mènage a tre tra la regina egiziana (recitata da Theda Bara nel ’17 e Colbert), Cesare e, dopo le idi di marzo, Marco Antonio. Cleopatra, che si lascerà mordere dal serpente dopo una lunga storia di guerra, amore e pace, vedi la tragedia scespiriana recitata da Proclemer, Moriconi, Della Rosa.
Il rogo della biblioteca, baccanali, arrivo a Roma, tutto è sontuosamente kitsch in un film maledetto che Mankiewicz (licenziato e poi riassunto) concepisce parlatissimo. Egli stesso dirà: «Film concepito nell’isteria, girato nel casino, montato nel panico».
Liz (pagata 47 milioni di dollari) veste i 194.800 dollari dei suoi costumi con aria indifferente e tra i 65 abiti uno è fatto a mano con oro da 24 carati. Spreca quel che restava del suo carisma insieme al suo Richard, attori altrove bravissimi, mentre Rex Harrison è un distinto Giulio Cesare ma l’anno dopo correrà verso My fair lady.