Avvenire, 31 agosto 2024
Inaugurato in Cattolica l’Istituto di cultura araba
«Tutte le culture vanno rispettate e tutelate. Questo è il nostro impegno, soprattutto in questo momento storico». Le parole di Sultan III bin Muhammad al-Qasimi, emiro di Sharja e membro del Consiglio supremo federale degli Emirati Arabi Uniti, risuonano nell’Aula Magna della sede milanese dell’Università Cattolica. L’evento è di quelli che si possono davvero definire storici. Infatti l’emiro ha voluto essere presente all’inaugurazione ufficiale dell’Istituto di cultura araba, promosso dalla stessa Università Cattolica con un accordo firmato dalla Sharjah Book Authority, istituzione culturale che sostiene lo studio della lingua araba e la sua conoscenza nel mondo. Istituzione rappresentata ieri dalla principessa Bodour, che nel suo saluto ha voluto sottolineare come questo accordo rappresenti «un ponte tra le culture e uno strumento di diplomazia culturale tra i popoli».
E le parole «ponte» e «dialogo» sono risuonate in tutti gli interventi che si sono succeduti nel corso dalla cerimonia, a sottolineare, se era necessario, quanto in questo momento storico queste due parole siano diventate indispensabili. «Questo Istituto di cultura araba – ha aggiunto la principessa è un importante punto di contatto tra la nostra realtà culturale e l’Italia. E la collaborazione con l’Università Cattolica sarà un faro per il futuro. Un messaggio di pace e di collaborazione reciproca tra Oriente e Occidente».
Ne è convinto anche l’emiro che nel suo discorso fuori programma, ha ricordato il suo forte interesse nell’andare alle radici delle parole arabe e di aver potuto nel tempo constatare che molte parole di culture differenti arrivino, però, a radici comuni. Una sottolineatura che l’emiro tra le righe applica anche alle differenze culturali che spesso sono vissute come ostacolo e non come arricchimento comune, magari anche per «costruire insieme azioni in campo umanitario in questo tempo difficile per il mondo» ha detto l’emiro di Sharjah, che è uno dei sette emirati che compongono gli Emirati Arabi Uniti, di cui Sharjah rappresenta il cuore culturale della federazione. Anche il rettore della Cattolica, Elena Beccalli, nel suo intervento ha evidenziato come «questa delicata epoca abbia bisogno di speranza e di convivenza pacifica» e come questo nuovo Istituto (la cui direzione è stata affidata al professor Wael Farouq, docente dell’ateneo) sia «un polo culturale espressione del nostro impegno a favore il dialogo interculturale e interreligioso e l’educazione alla reciproca comprensione», anche perché l’ateneo dei cattolici vuole essere «una comunità aperta al mondo senza paure». Del resto l’inaugurazione del nuovo Istituto è una tappa di un cammino che l‘ateneo ha iniziato dieci anni fa promuovendo corsi di lingua e cultura araba, non solo per permettere agli studenti italiani di approcciare questa cultura, ma anche «come forma di inclusione per gli studenti italiani di seconda generazione di origine araba per riconnetterli alle loro radici culturali e linguistiche», in una città di Milano sempre più multietnica e multiculturale. «Anche questo Istituto – ha aggiunto la professoressa Beccalli – è un segno concreto di cosa intendiamo per internazionalizzazione del nostro ateneo».
«Conoscere le culture degli altri, scoprirne gli interessi comuni è un modo per camminare insieme. Un passo per la pace, per un futuro migliore» commenta il vescovo Paolo Martinelli, vicario apostolico dell’Arabia meridionale, in cui sono compresi anche gli Emirati Arabi Uniti. «Tutto ciò che favorisce la conoscenza reciproca, la consapevolezza dell’altro, è importante per confrontarsi in uno scenario futuro positivo» aggiunge il vescovo che riconosce all’emiro di Sharjah «una sensibilità culturale e spirituale che lo porta a vivere in prima persona questo rispetto delle altre culture. Come comunità cattolica presente nel suo Paese lo abbiamo potuto constatare». Insomma a questo Istituto di cultura araba sorto in Università Cattolica sembra essere stato consegnato il delicato compito di costruire ponti e di tenere acceso il dialogo tra le culture. Un piccolo «faro», come ha detto la principessa Bodour, in tempi bui.