La Stampa, 31 agosto 2024
Lettere di scrittori al giornalista Lorenzo Mondo
Romanzieri, poeti, saggisti e il critico letterario: Caratteri mobili. Lettere degli scrittori a Lorenzo Mondo, appena uscito da Bur, spalanca lo scenario della stagione nella quale era intenso il rapporto degli autori con chi li giudicava. Temuti e desiderati erano i critici dei giornali più diffusi: Carlo Bo, Geno Pampaloni, Pietro Citati, Cesare Garboli e Mondo, il più schivo di tutti, per carattere e per lo stile de La Stampa, il nostro giornale. A due anni dalla scomparsa, eccolo attraverso i documenti inediti offerti in questo volume per volontà della moglie, Pinuccia Soldi, dei figli Monica e Alessandro, e della Fondazione Cesare Pavese alla quale hanno affidato la biblioteca e l’archivio del giornalista, studioso di Pavese e di Fenoglio, conteso dalle giurie di storici premi letterari.Sono 132 lettere scritte da 69 personalità, suddivise in quattro capitoli: Nel magma letterario. Dibattiti e polemiche; Seduti a un tavolo per un pane con acciughe. L’uomo e l’amico dietro lo studioso; Penetrare le pieghe del discorso. L’attività critica e giornalistica per La Stampa; La scrittura necessaria. Lorenzo Mondo autore. Confidenze di collaboratori che accompagnano un articolo per la Terza pagina, ringraziamenti per una recensione sebbene non priva di riserve, questioni spinose e sfoghi rivelatori del clima editoriale.Mario Rigoni Stern, Asiago, 1 giugno 1980: «Caro Mondo, eccole il raccontino rievocativo del giugno 1940. Ora, giacché da ieri non piove e la luna è buona, andrò nel campo a seminare le patate e speriamo a fine settembre di poterle raccogliere. La saluto cordialmente».Anna Maria Ortese, Rapallo, 11 giugno 1990, gli chiede di pubblicare «una piccolissima protesta» per il ritratto che una rivista le ha dedicato: «Credevo riguardasse qualche mio libro non me, la mia vita, le cose in cui credo (...) A chi chiedere uno spazio ospitale per una moderata difesa di tutto ciò che bisogna difendere (identità, serietà), a chi se non a La Stampa?».Natalia Ginzburg, Roma, 26 ottobre 1990, è indignata per la pubblicazione da Einaudi del Taccuino di Pavese curato da Mondo: «Un libro così, con tutta la funesta musica dei commenti che insultano o che scusano, non è conoscenza né cultura. Un libro cosi, glielo dico in tutta franchezza, io lo reputo un’ignobile operazione commerciale, compiuta sulla pelle di un morto».Risponde Mondo: «Le dico subito che rispetto i suoi sentimenti ma non li condivido. Non riesco a capire come un libro (...) su un tema di scottante attualità, diventi di per sé una sgradevole operazione commerciale. (...) La cosa va fatta (il rogo non va fatto) per due ragioni (...): è inutile che storici e critici perdano il sonno a studiare uno scrittore e poi non possano servirsi di un documento così ampio e comunque significativo per la sua biografia e la sua opera. Prevale una considerazione, mi lasci usare la parola, etica: trovo inammissibile, a livello di un personaggio pubblico come Pavese, ogni forma di censura e mistificazione (...). Pavese è perfettamente in grado di difendersi da solo contro intemperanze e abusi, da qualunque parte provengano. Questo tenevo a dirle, con rispettosa franchezza». Ferdinando Camon, Padova, 19 ottobre 1991. Reduce deluso dalla Buchmesse, scrive: «Francoforte sta al libro come il mattatoio al bestiame. Il libro viene maciullato e l’autore, se c’è, deve guidare il suo bestiame verso lo sgozzamento. Non c’è nessun modo in cui il libro possa essere presentato per quel che è. Le traduzioni sono rimesse a tanti criteri tutti esterni: rapporti tra editori, scambi di convenienza, giallo con giallo, film con film. Che cosa il libro sia non importa niente a nessuno».Alberto Bevilacqua, Roma, 22 settembre 2004. Giustifica le sue reazioni alla «gazzarra di mestatori» suscitata dalla sua candidatura al Campiello: «Non so capacitarmi che mia madre non ci sia più: non riesco più a leggere nessuna delle tante poesie che le ho dedicato. Ho passato mesi a scrivere sul suo addio».
Preziose testimonianze queste lettere e quelle di Maria Corti, Eugenio Montale, Mario Luzi, Umberto Eco, Francesca Sanvitale, Giovanni Arpino, Guido Ceronetti, Leonardo Sciascia, Norberto Bobbio. Provano quanto contasse il giornalismo italiano in un’epoca nella quale l’offerta culturale era una forza dei quotidiani e la critica letteraria, musicale, teatrale, cinematografica garantiva loro l’interesse e la fedeltà dei lettori. Lorenzo Mondo fu dei suoi migliori interpreti. A La Stampa l’aveva arruolato il direttore Giulio De Benedetti nel 1967. Veniva dalla Gazzetta del Popolo dove curava la pagina settimanale dedicata ai libri.
Maturità al D’Azeglio con Augusto Monti, laurea con Giovanni Getto, tesi su Cesare Pavese, alla morte del critico letterario Arnaldo Bocelli, Mondo ne fu il naturale successore, affiancato da Giorgio Barberi Squarotti, Gian Luigi Beccaria, Guido Davico Bonino, Giorgio De Rienzo. Era la condizione sognata. Nel 1977 sembrò garantirgliela per sempre l’essere chiamato a dirigere Tuttolibri, settimanale de La Stampa nato due anni prima. Dal sogno letterario lo destarono il 16 novembre i colpi di pistola con i quali quattro brigatisti ferirono a morte Carlo Casalegno. Nel 1978 si trovò alla sua scrivania, vicedirettore di Giorgio Fattori. Costretto ai ritmi e ai riti della macchina-giornale – cui contribuì anche con editoriali politici e la rubrica Pane al pane – continuò a recensire autori. Solo quando per l’età lasciò La Stampa produsse saggi e romanzi ricchi di quanto aveva imparato nel “mestiere dei libri” svolto da giornalista.