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 2024  agosto 31 Sabato calendario

Papa Francesco farà il suo viaggio più lungo

Città del Vaticano – Il viaggio più faticoso all’età più avanzata. Papa Francesco, 88 anni a dicembre, intraprende la trasferta più lunga del pontificato, da lunedì a venerdì 13 settembre, quando ormai cammina a stento senza la carrozzina o un bastone da passeggio e dopo un inverno tormentato dalle bronchiti. Per un’influenza il viaggio a Dubai per il vertice internazionale sul clima, a dicembre scorso, fu annullato all’ultimo momento. Acciacchi che non frenano l’impeto missionario del Pontefice gesuita, nonostante qualche apprensione serpeggi anche tra i suoi collaboratori.«Dico la verità», ha detto il cardinale Louis Antonio Tagle: «Io sono meno vecchio del Papa, e sperimento che questi lunghi viaggi sono pesanti». Il viaggio era in programma anni fa, poi è arrivata la pandemia. «Mi ha molto sorpreso che il Santo Padre abbia ripreso in mano questo progetto», ha detto il porporato filippino aFides,l’agenzia stampa di Propaganda Fide: «È un segno della sua vicinanza paterna a quelle che lui chiama periferie esistenziali».In dodici giorni Jorge Mario Bergoglio percorre 32.814 chilometri, tocca due continenti, Asia e Oceania, e visita quattro Paesi. In Indonesia (3-6 settembre), il più popoloso Paese musulmano del mondo, un islam che non abbraccia lasharia ed emargina il radicalismo, Francesco visiterà la grande moschea di Giacarta per insistere sull’importanza del dialogo interreligioso. In Papua Nuova Guinea (6-9), arcipelago segnato da disastri naturali come tsunami, eruzioni vulcaniche, alluvioni, è probabile che il Papa della Laudato si’torni a suonare l’allarme per il cambiamento climatico, l’innalzamento degli oceani, lo sfruttamento selvaggio delle risorse naturali. Quanto a Timor Est (9-11), è l’unico Paese a maggioranza cattolica dell’Asia insieme alle Filippine, dove la Chiesa ha avuto un ruolo da protagonista nell’indipendenza dall’Indonesia. Ma l’evangelizzazione è macchiata dagli abusi sessuali compiuti dal vescovo Carlos Filipe Ximenes Belo, eroe nazionale e premio Nobel per la pace, oggi confinato dalla Santa Sede in un monastero in Portogallo. Un caso intricato – nell’isola c’è ancora chi difende il presule a spada tratta – che il Papadovrà affrontare con una non facile scelta di parole e gesti. L’ultima tappa sarà Singapore (11-13), finestra sulla Cina, il gigante cui Francesco guarda con costante attenzione e con cui la Santa Sede a ottobre deve rinnovare l’accordo bilaterale sulle nomine episcopali.L’Oriente, più in generale, è strategico per il cristianesimo del futuro, tanto più per un Pontefice attento alle ragioni del Global south. Negli anni scorsi ha nominato un cardinalein ognuno dei Paesi che adesso visiterà. Secondo ilPew Research Center quello asiatico è passato dal 5 per cento della popolazione cattolica mondiale del 1910 al 12 per cento del 2010. Dati che spiegano la determinazione del Papa a sfidare i rischi di untour de force defatigante.Tra i collaboratori c’è chi teme che il fattore più pesante sia il molteplice cambiamento di fuso orario, chi guarda con qualche preoccupazione al livello di umidità nella regione. L’agenda dei dodici giorni è serrata, ma il numero delle tappe è contenuto e dopo ogni volo è prevista una mezza giornata di riposo.La Santa Sede nega che ci sia allarme. «Non ci sono precauzioni aggiuntive», ha dichiarato il portavocevaticano Matteo Bruni, «perché quelle già in atto per ogni viaggio apostolico sono ritenute sufficienti». Al seguito del Papa ci sono un medico esperto in rianimazione e anestesia e un infermiere, oltre al suo infermiere di fiducia, Massimiliano Strappetti, e all’aiutante personale, Daniele Cherubini, a sua volta ex operatore sanitario. I protocolli e gli accordi con le strutture sanitarie locali non sono di dominio pubblico, ma è ipotizzabile che, in caso di emergenza, oltre agli ospedali deiPaesi visitati, non sempre all’avanguardia, il Vaticano possa fare affidamento sulla vicina Australia.Ipotesi, scenari precauzionali, ma nulla di più. Al netto degli acciacchi noti, Jorge Mario Bergoglio sta bene. «Si governa con la testa», ha detto, «non con il ginocchio». In Vaticano, ogni giorno, ha un’agenda piena, d’estate ha continuato a lavorare. «Si ammalerebbe se si fermasse», dice chi lo conosce bene. Lui ogni volta che si mette in viaggio respira. Sarà che si lascia alle spalle i veleni curiali («Questo lavoro – ha detto ancora ieri – è divertente ma non facile»), sarà l’impeto che lo aveva spinto, da ragazzo, a immaginarsi missionario in Giappone. Quando qualcuno gli consiglia prudenza e riposo, lui taglia corto: «Non ho bisogno di una suocera». Torna dalle trasferte all’estero stanchissimo ma felice di aver svolto il suo compito di pastore del gregge: foss’anche all’altro capo del mondo.