la Repubblica, 31 agosto 2024
Intervista ai ragazzi che han fatto arrestare Sangaré
Suisio (Bergamo) – «L’unico rimpianto è non aver potuto fare qualcosa per salvare Sharon. Se fossimo stati più vicini al luogo dell’omicidio, forse avremmo potuto salvarla». Uno ha 25 anni e lavora come commesso in un negozio di abbigliamento di lusso. L’altro ne ha 23 e fa l’autista in un grande magazzino. Sono loro, due italiani di origine marocchina, ad aver dato un aiuto decisivo per arrivare all’assassino di Sharon Verzeni. Raccontando ai carabinieri di quell’uomo di origine africana in bicicletta che avevano incrociato la notte dell’omicidio.Cosa facevate quella notte?
«Io mi sto allenando per il titolo italiano di kickboxing, hol’incontro il prossimo 21 settembre. Lui gioca a calcio in prima categoria. Quella sera eravamo usciti come al solito molto tardi per allenarci».
Cosa avete visto?
«Era più o meno mezzanotte, eravamo a Chignolo vicino alla farmacia e davanti al cimitero dove ci siamo fermati per fare delle flessioni. A quel punto sono passati due nordafricani in bicicletta, poiun terzo. Lui ci è rimasto impresso, perché era un po’ strano. Aveva una bandana in testa e un cappellino, uno zaino e gli occhiali. Ci ha fissato a lungo e poi ci ha fatto una smorfia. Non lo avevamo mai visto prima».
È stato il dettaglio che ha messo sulla pista giusta i carabinieri.
«Abbiamo raccontato di quel ragazzo quando siamo statichiamati in caserma. A un certo punto – sorridono – ci hanno fatto anche i complimenti perché ci ricordavamo tutto».
Cosa avete pensato quando è stato arrestato il killer?
«Siamo rimasti sorpresi, non abbiamo mai pensato che l’assassino potesse essere lui. Anche se si vedeva che era uno che non stava bene. Abbiamo provato comunque un grande sollievo, perché non avevamo saputo più nulla sulle indagini».
Cosa vi preoccupava?
«Finché non si arriva alla soluzione del caso c’è sempre la paura di venire coinvolti, che si possa arrivare a conclusioni sbagliate. Anche se noi avevamo tutti gli elementi per dimostrare di non essere coinvolti. Ora ci sentiamo orgogliosi per essere stati utili all’identificazione dell’assassino».
Quella notte eravate poco distanti dal luogo dell’omicidio.
«È il rimpianto che ci resta. Non aver potuto fare qualcosa per Sharon. Non essere stati più vicini a via Castegnate. In quel caso forse avremmo potuto salvarla. Magari l’assassino ha visto una preda facile, come quei due ragazzini che voleva aggredire. Quando ha incrociato noi, invece, ci ha solo guardato male ed è andato avanti».
Come lui, anche voi siete nati in Italia da genitori stranieri.
«Noi abbiamo avuto la cittadinanza da ragazzini, a quindici anni. Vogliamo fa r riflettere che se il killer è di origini straniere, lo siamo anche noi. Forse senza la nostra testimonianza sarebbe libero. Pensiamo di aver fatto il nostro dovere».