Corriere della Sera, 31 agosto 2024
Recensione dei film Babygirl e Trois Amies
Come raccontare il desiderio femminile? Halina Reijn con Babygirl sembra rivendicare il diritto della donna a dare sfogo alle fantasie femminili più nere e proibite ma inquadra questa passione all’interno del dibattito molto statunitense sui «rapporti di potere» – Romy (Nicole Kidman) è amministratrice delegata di una società robotica, Samuel (Harris Dickinson) è un semplice stagista, irrimediabilmente attratti l’una dall’altro – e sul tema del consenso, che lei pare concedere e togliere a seconda del proprio interesse. E così finisce per costruire un guazzabuglio di scene fintamente osé (a cui Kidman si offre con coraggioso sprezzo del ridicolo) e di pseudo riflessioni morali (sulle donne, sulla famiglia, sul lavoro, sull’educazione) che finiscono per smontarne le ambizioni e accompagnare il film verso l’inevitabile finale consolatorio. In questo modo quello che poteva esserci di eversivo e di liberatorio (una sessualità non «tradizionale», il diritto a cercare il piacere dove la morale lo negherebbe) rischia di rivelarsi solo un trucchetto per attirare un po’ di effimera attenzione: sul film e sulla sua «scandalosa» ma sempre abilmente censurata protagonista. All’apparenza meno ambizioso e à la page, Trois Amies (Tre amiche) di Emmanuel Mouret riesce invece a dirci qualcosa se non di nuovo perlomeno di sensato sul desiderio femminile e il girotondo dei sentimenti. Le tre amiche del titolo hanno ognuna un problema con i propri sentimenti: Joan (India Hair) si sente responsabile della morte del marito (Vincent Macaigne) e si nega a un nuovo amore; Alice (Camille Cottin) sostiene che nel matrimonio basta il rispetto e l’amicizia ma deve ricredersi quando inizia a chattare con un uomo misterioso (Éric Caravaca); Rebecca (Sara Forestier) ama un uomo sposato (Grégoire Ludig) che però non è molto convinto di lasciare la moglie… Tutte queste peripezie si intrecciano tra di loro, nella migliore tradizione alla Marivaux, ritrovando quella leggerezza e quella grazia che Mouret aveva già dimostrato nel precedente Una relazione passeggera. Il film non ci insegna niente di nuovo, ma ci fa amare le donne capaci di inseguire un sogno e di rialzarsi dopo una caduta. O gli uomini che si sforzano di essere comprensivi e migliori di quello che sono. O le coppie che fanno fatica a trovare un equilibrio. Mentre si permette di giocare anche con i fantasmi e le sorprese che può riservare la voce fuori campo. E alla fine ti resta il piacere di aver assistito a un piccolo spaccato di vita, dove la regia non vuole mai travalicare i propri limiti (illustrare, non spiegare) e il cast si mette al servizio dei propri personaggi.