Avvenire, 30 agosto 2024
Le donne afghane protestano sui social contro i talebani
Cantano Thamina e Mawloda, canta Fawzia. E due studentesse al bar di un’università americana, una donna truccata col telefonino in mano, un’altra completamente avvolta dal burqa. Il ritornello malinconico è quello di una canzone di Aryana Sayeed, la pop star in esilio dall’Afghanistan, che dà voce alle donne afghane da quando ha lasciato Kabul e che in queste ore ha criticato con forza la legge per la “Promozione della virtù e prevenzione del vizio” con cui i taleban hanno vietato alle donne di cantare e persino di parlare. Segregate, cancellate e ora silenziate. La prima a farsi un video cantando è stata l’ex comandante del Dipartimento di investigazione criminale afghano Zala Zazai, una la cui nomina aveva già fatto scalpore prima che gli studenti coranici tornassero al potere. Poi la protesta ha iniziato a montare, a fare rumore: «Avete messo a tacere la mia voce, mi avete imprigionata in casa mia per il crimine di essere una donna» grida la donna nel burqa, «La voce di una donna è la voce della giustizia» le fanno eco alcune attiviste ed ecco moltiplicarsi i video, iniziare i racconti, nascere gli slogan, finché sui social iniziano a circolare anche le proteste vere e proprie, con gruppi di donne che alzano i pugni o strappano foto del leader supremo dei taleban Hibatullah Akhundzada, al governo del Paese (per decreto) dalla città meridionale di Kandahar.
Vogliono resistere, le donne afghane. L’onda del dissenso nel Paese non è nemmeno paragonabile a quella che s’è propagata in passato nel vicino Iran, ma ancora lo scorso 15 agosto, in occasione del terzo anniversario della presa di Kabul da parte dei taleban, piccoli focolai di protesta si sono accesi nel Paese e il gruppo organizzato del Purple saturdays movement è tornato a chiedere l’intervento delle Nazioni Unite nel Paese. Una mossa che, almeno a parole, non s’è fatta attendere dopo la notizia arrivata qualche giorno fa dell’approvazione della nuova, ancora più restrittiva legge che alle donne impedisce di far sentire la propria voce in pubblico: «È una visione angosciante per il futuro dell’Afghanistan» aveva commentato a caldo Roza Otunbayeva, capo della Missione di assistenza dell’Onu in Afghanistan, sottolineando come si trattasse di una norma che «estende le già intollerabili restrizioni sui diritti delle donne e delle ragazze afghane». Dichiarazioni a cui ha fatto seguito la richiesta, stavolta da parte dell’Alto commissariato per i diritti umani di abrogare immediatamente la legislazione «che viola chiaramente gli obblighi dell’Afghanistan ai sensi del diritto internazionale»: «Togliere potere e rendere invisibile e senza voce metà della popolazione dell’Afghanistan – ha sottolineato la portavoce Ravina Shamdasani – non farà che peggiorare la crisi umanitaria e dei diritti umani nel Paese. Questo è invece il momento di unire tutte le persone dell’Afghanistan, indipendentemente dal genere, dalla religione o dall’etnia, per aiutare a risolvere le numerose sfide che il Paese deve affrontare».
È la chiamata a una mobilitazione che il popolo afghano, seppur stremato dalla crisi gravissima in cui versa il Paese, potrebbe prima o poi avere la forza di mettere in campo. Ne è sicuro Parwiz Kawa, il fondatore e direttore esecutivo di 8AM media, più noto come Hasht e Subh Daily, il primo giornale afghano finché le pubblicazioni si sono interrotte nell’agosto del 2021 e che ora continua la sua attività solo online: «Noi continuiamo a sperare. Quando un gruppo terroristico governa un Paese non può farlo per sempre, soprattutto se la popolazione è oppressa e non ha di che mangiare – spiega Kawa dagli Stati Uniti, dove è fuggito insieme a una parte della redazione (anche se una quarantina di cronisti tra cui molte donne continuano a scrivere dall’Afghanistan, dove vivono sotto copertura) –. Verrà un giorno in cui gli afghani e le afghane solleveranno la testa e quella sarà la fine dei taleban. Noi intanto continuiamo ad essere la voce del nostro popolo, a raccontare quello che accade in tutto il Paese». Hash-e Subh ha registrato per primo le proteste delle donne contro la legge per la “Promozione della virtù e prevenzione del vizio” e le sta facendo circolare online. All’indignazione dell’Onu si sono aggiunte le voci del governo spagnolo e di quello australiano e mercoledì sera, su X, la protesta vibrante dell’ex segretaria di Stato americano Hillary Clinton: «Il mondo non può più tacere su quello che sta accadendo a Kabul».