La Stampa, 30 agosto 2024
Martina, malata di sla: "Denuncio l’Asl per tortura"
Trieste – «Lasciatemi andare, siamo soffio di vento». Martina Oppelli, architetta triestina di 49 anni, ha chiesto di porre fine alle proprie sofferenze, generate dalla sclerosi multipla progressiva, caratterizzata da una disabilità persistente che non lascia speranza di guarigione. Un appello disperato, ma le istituzioni le hanno appena negato il suicidio medicalmente assistito per la seconda volta. Per questo, ieri ha presentato in procura un esposto contro i medici dell’Azienda sanitaria triestina che hanno stoppato l’eutanasia, affermando di essere vittima di tortura e contestando loro anche il rifiuto di atti d’ufficio. Martina ricorda di essere totalmente dipendente dai macchinari per la tosse e dai farmaci, di necessitare di assistenza continua, di aver perso qualunque autonomia gestionale: «La mia vita è diventata un incubo. Non si può immaginare le sofferenze che provo, le sensazioni drammatiche che avverto, lo scoramento che mi assale». Di fronte al secondo diniego delle istituzioni sanitarie, la donna non esclude che la soluzione definitiva possa essere l’eutanasia all’estero. «Ma mi riesce difficile perfino ipotizzare come intraprendere gli spostamenti – confida –, vista l’immane fatica che faccio anche soltanto nel prendere un taxi, a Trieste». L’avvocata Filomena Gallo, dell’associazione Luca Coscioni: «Martina è condannata a una vera e propria tortura di Stato. I rifiuti dell’Azienda sanitaria si riempiono ogni volta di elementi diversi, integrando reati non solo contro la pubblica amministrazione, ma soprattutto contro la libertà morale e fisica di una persona, costretta a subire e tollerare un trattamento contrario al suo senso di dignità, il cui rispetto è stato sancito dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale». «La tortura è un reato che sanziona il “furto di umanità” che lo Stato, tramite i propri organi, pone in essere nei confronti di chi si trovi in una situazione di minorata difesa – aggiunge -. Le condizioni di Martina sono sensibilmente peggiorate negli ultimi mesi: i dinieghi e gli ostruzionismi dell’Azienda sanitaria tendono a ostacolare in tutti i modi la sua volontà, con il rischio che le condizioni peggiorino a tal punto da non consentirle più di procedere con l’autosomministrazione del farmaco. Questo significa condannarla a sopportare sofferenze intollerabili».La relazione dei medici, chiamati da un’ordinanza del tribunale a redigere una perizia per l’eventuale revisione dei requisiti per l’accesso al suicidio assistito, disegna un quadro diverso: «La donna non può ritenersi mantenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale», hanno scritto nella motivazione.