Corriere della Sera, 30 agosto 2024
A Roma le biblioteche diventano punti di sosta per rider
Sedici biblioteche, 16 punti di sosta dove trovare riparo da freddo o caldo, ristorarsi, ricaricare il cellulare e la e-bike, e magari scambiare qualche parola con colleghi e bibliofili. Il progetto si chiama «Sos rider: disposizioni di aree di sosta e ristoro per la sicurezza di lavoratori e lavoratrici del delivery», ed è studiato da Campidoglio e Filt Cgil per dare un sostegno all’interno delle biblioteche comunali ai 7.000 rider che ogni giorno consegnano cibo (e non solo) in giro per la Capitale. Via alle gare per allestire le prime due biblioteche tra Eur e Montagnola (Archipelago in via Benedetto Croce e Laurentina in piazzale Elsa Morante) finanziate con 300 mila euro. Per ospitare i rider, nelle biblioteche verrà allestita «un’area verde provvista di tavoli all’aperto o area ristoro interna, servizi igienici aperti al pubblico, punti di presa elettrica, macchinette del caffè e/o macchinette di distribuzione cibo e bevande», è scritto sulla delibera approvata dal Consiglio comunale. Al punto di sosta, poi, il rider troverà «una cassetta di pronto soccorso e un box attrezzi contenente una pompa di aria, una pinza, una confezione di riparazioni per biciclette, un paio di guanti in lattice, due cacciaviti».Tutto il necessario, cioè, per dare un porto sicuro ai rider «spesso lasciati all’addiaccio sia mattina che sera che notte, in attesa di ricevere ordini di consegna», che così potranno rifocillarsi, avranno prese per ricaricare lo smartphone e un parcheggio per bici o scooter. E poi «stando insieme potranno anche acquisire una coscienza di classe, requisito fondamentale per continuare sulla strada delle lotte sindacali», dice la consigliera comunale dem Erica Battaglia, prima firmataria della delibera, che insieme ad Antonella Furgiuele della Filt-Cgil Roma da tempo segue la questione, insistendo con le istituzioni soprattutto sul tema della sicurezza stradale, uno dei mali assoluti della Capitale. Tanto da ottenere, per l’autunno, l’istituzione di un tavolo tecnico con Comune e Regione sui rischi della viabilità romana, con l’obiettivo di ridurre i problemi quotidiani dei lavoratori del delivery, costantemente esposti a pericoli tra binari del tram, buche sull’asfalto, scarsa disciplina dei romani al volante e strade scarsamente illuminate. Già nel rapporto con JustEat, l’unico marchio del delivery i cui lavoratori possono poggiare sulle tutele di un contratto collettivo, la Filt-Cgil ha lavorato sulla sicurezza mappando le criticità cittadine in modo da indurre l’azienda a prendere delle contromisure: niente bici ma solo consegne in auto sulla Colombo, la via più pericolosa, come pure interdette le consegne in bici nelle strade poco illuminate o che presentano rischi da asfalto danneggiato. Ma riguarda solo chi lavora per JustEat, grossomodo un decimo dei rider che tutti i giorni a tutte le ore attraversano la Capitale provando a schivare ostacoli assortiti: buche, radici, cantieri, corrieri e autisti senza disciplina.
Perché, in realtà, chi per scelta o per necessità è entrato nella «Cig economy» – ovvero il modello economico basato sul lavoro a chiamata, occasionale e temporaneo – è pioniere in un mondo tutto ancora da esplorare. Sigle come la Fit- Cisl provano da tempo ad approfondire, ad esempio con la «stazione Lavoro», sorta di rifugio urbano «dedicato a lavoratori esposti alle intemperie e alla solitudine», dice il segretario, Marino Masucci. Ma nelle piazze si continuano a vedere centinaia di rider mentre aspettano la chiamata, o a bordo della bici elettrica con lo zaino termico in spalla per consegnare pasti alla temperatura ottimale. È un esercito che pedala sotto il sole o nel buio, del quale molti utenti usufruiscono ma di cui si sa davvero poco. Molti i giovani che si pagano gli studi consegnando poke o pizza. Tantissimi i migranti provenienti da Africa equatoriale, India e Bangladesh. E poi disoccupati di lungo periodo e over 50, tutti difficilmente ricollocabili. Pochissime le donne, a causa dei rischi legati al buio. Per tutti, però, c’è il comune denominatore di un lavoro che paga poco in relazione a fatica e orari, dai quasi 7 euro l’ora di Glovo agli 8 di Foodora fino agli 11 lordi di Deliveroo. Ma è con JustEat – che paga 9 euro l’ora ma compensa con le tutele – che dialogano le istituzioni. Con lo scopo di far scattare pure negli altri marchi un meccanismo di protezioni e creare una «white list» per le piattaforme più sensibili ai diritti. Su questi, in tante devono pedalare.
*«La scuola? Tutto precariato, non è che uno può fare ‘sta vita. In più stavo completando il percorso da donna a uomo, anche per questo non me la sentivo di entrare in classe. Così, su consiglio di un amico 20enne, mi sono candidato a JustEat. Figurati se mi prendono a 40 anni, pensavo. Invece, preso subito. Non avrei mai pensato di fare il rider».
E come si trova?
«Ho un contratto part-time a tempo indeterminato e un buono stipendio a fine mese anche grazie a uno scatto di anzianità. Non è poco».
Però è un lavoro duro.
«Quando insegnavo avevo più stress mentale. Il rider è una cosa fisica. Ho iniziato con la bici classica ed era molto faticoso: le distanze spesso erano lunghe, anche più di 10 km a consegna. Una volta da Testaccio ad Annibaliano. E poi molto dipende dal meteo. Ora ho una e-bike, va molto meglio. E il lavoro mi piace».
Non è un ripiego?
«Per il momento la scuola non mi manca. E poi il nostro è un servizio utile anche se la gente pensa che a chiamarci siano solo i ragazzini. Invece spesso consegno ad ammalati in ospedale, invalidi, gente che lavora e non può staccare, polizia, carabinieri. Durante il Covid poi eravamo fondamentali, allora c’era un botto di rider in giro. Poi ci siamo assestati sui numeri attuali».
Settemila rider: un esercito in bici formato da chi?
«C’è di tutto. Molti stranieri, africani e indiani soprattutto. Ma anche tanti italiani, giovani studenti, padri di famiglia. Donne invece pochissime: hanno più difficoltà e forse esigenze diverse».
Pensa alla sicurezza soprattutto di notte?
«Sì. Comunque la sera è pericolosa anche per me. Sono stato aggredito tre volte: una volta a piazza Meucci mi volevano rubare il cellulare, poi uno con lo scooter mi ha spinto fuori strada e un’altra volta mi è capitato di essere aggredito da rider di altri marchi, del resto il nostro è un lavoro che ti prendi la roba e te ne vai, non c’è tempo per socializzare: dobbiamo pedalare».
Che a Roma non è banale.
«La città è un caos. Ad agosto, senza traffico, è andata bene. Ma Roma è molto pericolosa. Sampietrini, rotaie, radici, buche, strade poco illuminate. Bisogna stare attentissimi, tipo sulla Colombo, la strada di certo più pericolosa. Io mi ci sono infortunato due volte sulla ciclabile che spesso è invasa da spazzatura o dalle auto parcheggiate. Qua c’è poco rispetto per chi va in bici».