Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  agosto 30 Venerdì calendario

Il giardino di Boboli stremato dall’afa

Siepi di bosso “abbronzate” dal troppo sole, le radici del tasso dell’Ottocento che cercano disperate un po’ di umidità nel terreno, e perfino le ninfee tropicali boccheggiano in una quantità d’acqua che non basta più. Anche il giardino di Boboli patisce gli effetti del caldo prolungato e le conseguenze si cominciano a notare. Accompagnati dal “giardiniere- scienziato” Gianni Simonti, attraverso il giardino monumentale voluto nel Cinquecento da Cosimo I ed Eleonora di Toledo, divenuto nei secoli sede di rare collezioni botaniche, la passeggiata è un lungo elenco di piante in sofferenza, emergenze più o meno grandi dovute alla crisi climatica: nel giardino delle camelie le antiche varietà sette e ottocentesche cuociono ogni giorno non appena il sole supera il muro che cinge questo spicchio di verde, ricavato nel Seicento sotto il bastione del cortile di Palazzo Pitti per Mattias de’ Medici, fratello minore del granduca Ferdinando II; sotto la fontana del carciofo gli Agapanthus e pure l’Ibiscus, che di norma avrebbe una buona resistenza al sole, sono ustionati da un caldo che non dà tregua; nel giardino della botanica superiore la Strelitizia Nicolai ha le foglie spezzate da un vento troppo forte, mentre le ninfee che popolano la vasca maggiore, seppur originarie di climi tropicali, sono stremate da tre settimane a 40 gradi. «I danni si notano in tutti i punti in cui le piante sono esposte alla luce diretta del sole, e in particolare riguardano le piante in vaso, di per sé più fragili», spiega Simonti che coordina il lavoro di una squadra di quindici giardinieri. In compenso stanno bene il papiro e le palme tropicali, così come tutte le piante che amano il clima semi desertico e non patiscono temperature elevate anche la notte. Ma le antiche tecniche colturali che a Boboli, in quanto giardino storico, vengono scrupolosamente seguite e rispettate, non sono più capaci di dare risposte ai problemi di un clima senza precedenti. «Non è che in passato non ci siano mai stati 40 gradi o anche più, ma il caldo non è mai durato per così tanti giorni di seguito come negli ultimi vent’anni, e quello che un tempo resisteva alle ondate di calore oggi non resistepiù». Il clima è un problema che accomuna tutti i giardini di Firenze, con l’aggravante che Boboli conserva specie e varietà rare, oltre a strutture antiche come le celebri cerchiate, con i suoi lecci bicentenari intrecciati ed incurvati a formare scenografici tunnel, le quali hanno un’esigenza manutentiva continua. Un equilibrio già delicato tra salute e bellezza delle piante, storicità del giardino e presenza del pubblico, che obbliga i giardinieri di Boboli atrovare soluzioni diverse per ciascun tipo di pianta: il caolino sulle foglie per difenderle dai raggi solari, la selezione di un nuovo terriccio che regga all’alternanza tra siccità e piogge, oppure lo spostamento di alcuni esemplari all’ombra, solo per fare degli esempi. Soluzioni che derivano anche da un continuo scambio di informazioni con gli esperti dell’orto botanico di Firenze e degli altri giardini storici, come Castello o Poggio a Caiano. Sono però soluzioni destinate ad essere un tampone perché l’emergenza climatica non riguarda soltanto l’estate, ma tutte le stagioni. «Non si tratta unicamente di temperatura, ma anche di piogge concentrate e di inverni miti con recrudescenze in primavera. Un esempio sono i tepidari: si scaldano in anticipo, quindi a febbraio i limoni hanno già un’induzione a fiore. Ma ciò che fiorisce all’interno non viene raggiunto dalle api per l’impollinazione. E del resto non posso metterli all’esterno prima, perché a marzo potrebbe esserci una gelata e farli morire». Una concatenazione di emergenze che richiede una continua rincorsa, oltre ad un notevole aggravio di spesa: si calcola che nei mesi di luglio e agosto oggi serva un terzo di acqua in più rispetto al passato. Per non parlare della spesa per il contrasto ai nuovi parassiti. Ancora Simonti: «È arrivato il lepidottero Paysandisia sulle palme per i quali ci vogliono trattamenti biologici perché ilgiardino è frequentato dalle persone, anche se alcuni di questi oltre i 30 gradi non funzionano. Oppure la piralide sul bosso, una pianta che nel Rinascimento era stata scelta per il giardino all’italiana anche perché necessitava di poca manutenzione. Oggi la piralide non muore più d’inverno perché non fa abbastanza freddo e ci dobbiamo combattere tutto l’anno». E poi le zanzare che «d’inverno non muoiono più e continuano a infestare laghetti e pozze d’acqua obbligandoci ad un trattamento continuo». Una soluzione organica ci sarebbe: «Ci vorrebbe più verde. Non semplici giardini per portare il cane, ma ambienti naturali stratificati e strutturati come entità a sè stanti, che creino traspirazione e ombreggiatura. Ne godrebbe Boboli, e tutta la città».