la Repubblica, 30 agosto 2024
Intervista a Angela Tomasicchio, magistrata a Bari
«Temo che la finalità di alcune riforme in materia giudiziaria sia aumentare gli ostacoli per la definizione dei processi, anziché facilitarli»: non usa mezzi termini Angela Tomasicchio, magistrata barese 68enne, che pochi giorni fa ha lasciato l’incarico di avvocato generale in Corte d’appello – ricoperto per otto anni con una parentesi da procuratrice generale facente funzioni fra l’addio di Anna Maria Tosto e la nomina del suo successore Leonardo Leone de Castris – ed è stata nominata commissaria nel nuovo concorso per magistrati tributari.Un concorso che si terrà per la prima volta in Italia.
«Sarà una bella sfida, ma per me l’ultima perché dopo questo incarico raggiungerò i settant’anni e andrò in pensione. Periodicamente vengono presentate proposte per alzare l’età pensionabile, ma l’ipotesi di restare fino a 73 anni perdendo le funzioni direttive e con stipendi uguali alla pensione non mi sembra vincente. Darci la possibilità di proseguire gli incarichi direttivi avrebbe senso, perché allungherebbe le sfide fino alla fine, ma restare nei ruoli ordinari e senza alcun incentivo economico credo che interesserà veramente a pochi».
A proposito di sfide: nella sua carriera ne ha affrontate tante.
«Ho iniziato a Cuneo nel 1981, quando dopo il pentimento di Patrizio Peci (il primo brigatista rosso a pentirsi) estremisti di destra e di sinistra cominciarono a collaborare con lo Stato. Ero magistrato di sorveglianza, ebbi la scorta subito perché in un covo trovarono le mie foto e la mappa del percorso che seguivo per recarmi in carcere. Mi furono assegnati un poliziotto e un carabiniere, insieme non arrivavamo a 75 anni e viaggiavamo sulla mia Simca in barba a ogni regola di sicurezza».
Anche a Bari fu magistrata di sorveglianza. E poi?
«Poi alla Procura circondariale, dove ho lavorato molto e con soddisfazione sull’abusivismo e su temi ambientali, coordinando importanti operazioni in vari paesi della provincia, da alcuni dei quali ci sono cittadini che ancora mi scrivono. Quindi alla Procura, dove insieme con Pietro Curzio, già presidente della Corte di cassazione, praticamente avevamo costituito un pool omicidi che anticipava la Direzione distrettuale antimafia».
Qual è stato il momento più difficile in questa lunga carriera, nel corso della quale ha svolto anche il ruolo di procuratrice generale facente funzioni negli anni difficili post Covid?
«Nel 2010, quando un uomo cercò di aggredirmi nel garage di casa e poi danneggiò la mia auto. Mio marito lo vide arrivare dalla finestra, mi salvai grazie a una porta. Pochi minuti dopo arrivò una telefonata di rivendicazione in cui dicevano: “Per adesso ti abbiamo rotto la macchina, poi ti taglieremo le gambe”. La telefonata fu fatta dalla cabina telefonica di un paese, ma l’autore non fu mai individuato. All’epoca seguivo un processo complicato sulla mafia foggiana e proprio quel giorno, in udienza davanti alla Corte d’appello, avevo fatto richieste che gli imputati non si aspettavano».
Ha lavorato molto sulla criminalità organizzata barese. La trova cambiata negli ultimi anni?
«Grazie a un’enorme disponibilità di denaro è riuscita a penetrare nell’imprenditoria, nel commercio. Negli ultimi decenni c’è stato questo salto di qualità, perché gli ingenti capitali accumulati dovevano trovare uno sbocco tramite il riciclaggio. Penso che il mondo delle imprese sia stato infiltrato più della politica, anche se recenti indagini hanno portato alla luce episodi di voto di scambio. Bari oggi è una città bellissima per i turisti, ma per certi aspetti difficile per chi ci vive. E continua a cambiare velocemente».
Nel cambiamento generale del Paese, invece, le riforme della giustizia si susseguono e modificano il vostro lavoro.
«Per molti aspetti lo hanno appesantito. Le liberazioni anticipate – le cui regole sono state modificate sia dalla riforma Cartabia sia dal decreto Nordio —per esempio, sono state uno tsunami per i giudici di sorveglianza, il cui lavoro si è molto appesantito. Oppure il fatto che la riforma Cartabia abbia eliminato la procedibilità d’ufficio per alcuni reati: sembrava fosse un provvedimento destinato ad alleggerire il lavoro, ma in realtà non ha compreso in modo specifico alcune tipologie, con il risultato che un numero rilevante di furti come i furti di energia elettrica continuano a essere perseguiti e altri, più rilevanti dal punto di vista criminale come i furti d’auto, non lo sono in assenza di querela».
Il decreto Nordio: la presidente dell’Anm distrettuale, Antonella Cafagna, qualche settimana fa ha detto a Repubblica che l’eliminazione dell’abuso d’ufficio ha tolto il presidio minimo contro lo strapotere della pubblica amministrazione.
«Non mi straccerei le vesti per l’abuso d’ufficio, perché per comeera concertato diventava molto difficile andarlo a contestare. Ci sono altri punti del decreto farraginosi, che incideranno moltissimo sulla giurisdizione. Per esempio la costituzione del collegio per emettere l’ordinanza di custodia cautelare e il contraddittorio preventivo prima della misura. In merito alla prima, faccio notare che non c’è un numero sufficiente di giudici per comporre i collegi, specie nei piccoli tribunali, e che per forza di cose bisognerà utilizzare i giudici civili, come accade già in estate per comporre il tribunale del riesame. Per quanto riguarda l’interrogatorio preventivo, io temo il pericolo di fuga e di inquinamento probatorio una volta che l’indagato sarà messo a conoscenza delle contestazioni. Spero che nel testo definitivo siano inserite limitazioni in tal senso».
Qual è il rischio?
«Ancora una volta che si determini un doppio binario. Perché l’interrogatorio preventivo non varrà per gli indagati per mafia e altri gravi delitti, ai quali sarà riservato un trattamento diverso rispetto a quelli accusati di reati contro la pubblica amministrazione. A me pare che la finalità sia aumentare gli ostacoli alla definizione del processo, fra l’altro in una situazione di evidente carenza di uomini e mezzi».
Riforma costituzionale della giustizia, il cui iter riprenderà in autunno: il procuratore Roberto Rossi l’ha definita una resa dei conti della politica nei confronti della magistratura.
«È così. La separazione delle carriere e i due Consigli superiori aumenteranno il controllo non tanto sulla magistratura, quanto sull’esercizio dell’azione penale. A questo serve separare il giudice dal pm: niente più azione penale obbligatoria, l’azione è discrezionale e ti dico io quando esercitarla. Lo trovo molto pericoloso».
Corriamo il pericolo che la giustizia non sia uguale per tutti?
«Assolutamente sì».
Cosa lascia di buono in quest’ufficio, che ha da poco salutato?
«Un clima di collaborazione e condivisione di tutto. Quando sono arrivata i sostituti procuratori generali erano monadi, bravissimi colleghi ma ognuno lavorava per conto proprio. Ora c’è un indirizzo unitario dell’ufficio e una grande voglia di fare che coinvolge anche gli amministrativi, i cui ruoli sono stati incrementati di recente con funzionari estremamente preparati e che hanno una grande dedizione al lavoro. A tutti, compresi i validi collaboratori dei Carabinieri e della Guardia di finanza assegnati, va il mio sentito ringraziamento perché insieme l’ufficio ha conseguito ottimi risultati».