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 2024  agosto 30 Venerdì calendario

Rosa Teruzzi ricorda il suo lavoro a La Notte

Con Rosa Teruzzi torniamo indietro nel tempo: era il 1988, l’anno in cui non si mosse dalla città. Una lunga estate milanese scandita dal lavoro. Autrice di fortunati gialli ambientati al Giambellino, l’ultimo dei quali s’intitola La ballata dei padri infedeli ( Sonzogno) e prima ancora giornalista, Teruzzi allora aveva appena iniziato a collaborare al quotidiano La Notte.«Usciva due volte al giorno. Andavo a lavorare in piazza Cavour, nel “Palazzo dei giornali”», ricorda. «Mi occupavo di cronaca nera e anche di bianca. I delitti ma anche le cose che non andavano in città, segnalate dai lettori, come una fogna che non funzionava. Cose che andavano anche fotografate. Passai tutta l’estate così. Mi ha fatto bene formarmi in un giornale piccolo ma agguerrito, che poi mi assunse». Un’estate all’insegna di «sesso, sangue e soldi», come ricorda la scrittrice, i moventi di molti delitti. Tra le inchieste in cui si imbattè in quei mesi ci fu il “delitto del rosolio”, caso celebre e irrisolto. Una maestra di piano ottantenne, Clotilde Fossati, fu uccisa in casa, il 10 giugno, in corso di Porta Nuova 36. Si parlò a lungo della pianista uccisa dopo un drink con il killer. La vittima aveva fatto entrare il suo assassino, gli aveva offerto da bere ed era stata uccisa con una bottiglia da rosolio e un coltello, come testimoniava la scena del crimine. Sullo sfondo, uno sfratto per la ristrutturazione dello stabile, a cui la donna si era opposta.«Ricordo che mi occupai anche del delitto del catamarano» continua Teruzzi. «Anna Rita Curina era una skipper pesarese che venne uccisa e buttata in mare. Filippo De Cristofaro, con una giovane olandese, aveva affittato un catamarano per rubarlo. Condannato all’ergastolo dalla giustizia italiana, il colpevole si rese irreperibile dopo un arresto in Portogallo». Nella stessa estate il lavoro sul campo prevedeva anche una rubrica, che si chiamava “Un giorno in pretura”. Teruzzi, che poiavrebbe fatto tesoro di quelle esperienze nei suoi romanzi e nel lavoro, andava a seguire i processi minori, quelli che solitamente non finivano nelle pagine di cronaca. Una signora che aveva rubato cinque mattoni per metterli sotto il lavandino, un uomo che aveva sottratto due maglioni di lusso e si era giustificato spiegando che era a torso nudo.«Non posso neanche dimenticare il Ferragosto passato all’Idroscalo e in giro per la città per raccontare cosa facevano i milanesi. Le persone, nei parchi e all’aperto, cucinavano, preparavano peperoni alla griglia. Fotografavamo e raccontavamo queste vacanze a chilometro zero. A un certo punto mi mandarono pure a fermare le macchine per la strada per vedere chi usava i pass falsi per il centro. Allora, non avevo un compagno. Non finivo mai di lavorare, per tutta la settimana, per tutta l’estate. Non vidi neanche i miei familiari, che abitano a pochi chilometri da Milano» ricorda Teruzzi, che ha mantenuto la passione per il mestiere e scrive i suoi libri in un vecchio casello ferroviario, simile a quello delle sue protagoniste.Una Milano, quella del 1988, che nel racconto della giallista era più difficile da vivere, soprattutto per chi faceva orari assurdi, ma anche una città che non ti faceva mai sentire sola. «Mi piace ancora molto, è la mia casa».Per quanto riguarda invece la cronaca nera, ieri come oggi, poco è cambiato: suscita sempre attenzione da parte dell’opinione pubblica. E per Teruzzi questa nasce anche dalla voglia di scoprire le cause del male: perché persone apparentemente “normali” compiono delitti feroci. La stessa curiosità che attrae i lettori di gialli. «In passato erano considerati un genere di serie B, ora sono stati sdoganati. Sono considerati il nuovo romanzo sociale».Tornando al presente, è già l’ora dei buoni propositi della ripresa. «Cosa mi auguro per la città? Di mantenere spazi come il Casello San Cristoforo, aperto a tutti. Che non sia elitaria, che sia un luogo in cui le persone abbiano spazi di incontro e possano godere del tempo insieme. Nel mio quartiere c’è il GiambellOrto, un orto solidale. L’integrazione passa dal fatto che ti conosci e non ti fai più paura».