la Repubblica, 30 agosto 2024
Clima estremo e parassiti cambiano gli alberi nei boschi
A sei anni dalla tempesta Vaia, i boschi del Nordest stentano a riprendersi. L’invasione del bostrico – un coleottero che approfitta dei tronchi morti per riprodursi e poi attaccare anche le piante sane – inizia solo ora a frenare. Le trappole per monitorare gli insetti registrano un -9% rispetto all’estate 2023. Il picco dell’epidemia è passato, secondo il servizio fauna e flora della Provincia di Trento, la più colpita, ma «non si prevede che le infestazioni si estinguano nel breve periodo». I danni agli abeti rossi toccano i 7-8 milioni di metri cubi di legno, per metà causati da Vaia, per metà dall’insetto che di quella tempesta eccezionale dal 2018 ha approfittato. Il governo ha stanziato 9 milioni per gestire l’emergenza nei prossimi tre anni. Intanto però intere catene di monti che pullulavano di alberi di Natale oggi sono coperte da tronchi biancastri e farinosi, simili a fantasmi.
L’albero di Natale non è l’unico a farsi da parte nel paesaggio italiano. Quest’estate in Sardegna il verde di sugheri e lecci si è riempito di chiazze marroni per la siccità e un fungo che attacca le radici, la fitoftora. I castagni stentano a riprendersi dal cinipide, una vespa che li decima dal 2002. I cipressi del Carducci, tipici del paesaggio toscano, sono attaccati da un afide (la cinara) che si riproduce a ritmi vorticosi, si diffonde col vento, succhia la linfa e ricopre le foglie di una melata appiccicosa chele soffoca. Lungo i litorali e al Sud, il pino marittimo soffre per un parassita: il Matsucoccus è una cocciniglia che succhia la sua linfa dagli anni ‘90.
La chioma color ruggine è il segno dell’infestazione.
Da vent’anni ormai le palme di tanti lungomari vengono sterminate dal punteruolo rosso, cui oggi si aggiunge la falena Paysandisia. I platani delle città, indeboliti da cemento e aria inquinata, sono vulnerabili a una malattia che li fa deperire molto rapidamente: il cancro colorato.
Clima, insetti alieni, consumo del suolo ridisegnano il paesaggio italiano. Ma non sono i soli. «L’aspetto che più mi preoccupa è la leggerezza con cui ogni estate si bruciano ettari ed ettari. L’ azione dei piromani richiede poi lunghi anni di ricostruzione degli habitat montani», lamenta Antonella Canini, presidente della Società botanica italiana e docente all’università Tor Vergata di Roma. Nel 2024, fino al 30 luglio, in Italia sono scoppiati 615 incendi, che hanno distrutto 221 chilometri quadrati di bosco, in linea con quanto era bruciato negli anni precedenti.
Lorenzo Peruzzi, presidente dellaSocietà italiana di biogeografia e docente all’università di Pisa, che ha da poco curato con diversi colleghi l’inventario delle piante d’Italia, cita l’effetto distorcente che gli incendi hanno sulla distribuzione degli alberi. «Il pino marittimo è una pianta pirofita. Vuol dire che è favorita dagli incendi. I suoi semi, i pinoli, germinano meglio dopo le fiamme. Questo ha portato le pinete italiane a estendersi eccessivamente. Il Matsucoccus, in un certo senso, le sta riportando alle proporzioni naturali».
Di naturale, tuttavia, non c’è molto nella storia di quest’albero favorito per i rimboschimenti rapidi e un po’ improvvisati del dopoguerra. «C’erano interi versanti da ripopolare», ricorda Peruzzi. «Ci si chiedeva quali alberi crescessero più velocemente e si procedeva a piantarli tappeto. Così, oltre alle pinete, sono nati i boschi di abete di Douglas, una specie americana che crea un’oscurità molto marcata e impedisce la crescita del sottobosco». Fra le specie aliene diventate importune c’è l’ailanto, importato a metà ’800 dall’Asia per alimentare l’industria della seta. Ha una quantità di semi sterminata, si riproduce anche tramite polloni, rilascia nel terreno sostanze tossiche per le altre specie. «È talmente invasiva che in Europa un regolamento vieta di piantarla», spiega Peruzzi. «Ma eliminarla sarà impossibile». Integrato nelle colline del Sud è il fico d’India.
«È un’altra pianta alloctona, cioè non originaria del nostro Paese, ormai destinata a restare» commenta il botanico di Pisa. Perfino il fico d’India però in Sicilia soffre la siccità: la produzione quest’anno è in calo del 30%.
L’ultima pennellata al paesaggio che muta è proprio il cambiamento climatico. «Il riscaldamento globale – spiega Canini – facilita l’attecchimento delle specie esotiche e rende più fragili alcune specie tipiche del nostro paesaggio. Il pino, il castagno, l’olmo, subiscono malattie per attacchi fungini, cocciniglie, ma anche per l’inquinamento». Il pino di Posillipo, il lungomare con le palme di Sanremo o le foreste di abeti delle Alpi forse saranno per i nostri figli cartoline sbiadite.