la Repubblica, 30 agosto 2024
Incontro con Oprah Winfrey a Venezia
Venezia – Jumpsuit carta da zucchero, testa piena di boccoli, Oprah Winfrey conquista gli astanti in cinque minuti, affiancando alla rocciosa sicurezza di sé quel modo di fare semplice che l’ha resa una potenza mediatica negli Stati Uniti. Quando le parlano della solitudine e della tristezza che comporta il potere, alludendo alla premier Giorgia Meloni, fa la faccia scettica «mi sa che devo parlarci io, con lei», anche se l’impressione è che non sappia chi sia. «Di sicuro io non mi sono mai sentita sola e triste, né ho mai avuto la sindrome dell’impostore, né che occupavo uno spazio che non era il mio o che non meritassi quel che ho guadagnato». L’appuntamento è a Palazzo Brandolini, per i DVF Awards, i premi ideati da Diane von Fürstenberg dedicati alle donne “straordinarie” che dimostrano il coraggio di combattere, la capacità di leadership. A consegnare i riconoscimenti c’è Oprah, storica star della tv americana: «Per me è un’opportunità per celebrare queste donne che fanno tanto, pur avendo poco. Mi ispira l’esperienza di essere circondata da donne forti quanto e più di me».Nel suo intervento pro Kamala Harris pronunciato alla Convention di Chicago lei ha detto che la libertà non è gratis. E va scelta con la verità, l’onore e la gioia.
«Questo è un momento storico senza precedenti, plasmato dalle dimissioni del presidente Biden che hanno aperto l’opportunità a Harris. Come ha detto Michelle Obama, la speranza è tornata. Il sogno americano non solo è vivo, ma forte e potente, perché la figlia di un immigrato giamaicano e di un immigrato indiano può ricevere la candidatura per il suo partito a diventare presidente degli Stati Uniti d’America. Avete visto la fotografia della ragazzina con le treccine che guarda in alto? Io sono stata quella bambina che guarda al futuro e alla speranza che potrebbe portare. È anche il momento del lavoro duro. Bisogna distinguere chi vuole il bene del Paese. Ilfatto che Kamala sia stata in grado di raccogliere più soldi di chiunque altro nella storia e che ci siano più volontari ci riporta la speranza».
Quali sfide la aspettano?
«Nella vita tutto ciò che è accaduto prima ti prepara per il momento che stai vivendo. Gli anni da procuratore, il fatto che Kamala abbia condotto la sua campagna, che sia stata dietro le quinte come vicepresidente. Ed è riuscita a uscire dall’ombra in modo soprendente. I media le preferivano Trump perché faceva alzare gli ascolti. Ora è il suo momento, ma è ancora la sfavorita. Michelle e Barack hanno detto una cosa vera: non possiamo diventare compiacenti solo perché ha più soldi e più volontari, deve lavorare di più, essere determinata fino alla fine. Non c’è modo di mollare, o pensare “cavolo ce l’abbiamo fatta”».
Il sogno americano esiste ancora?
«Ne sono una testimone vivente. Non c’era nulla dove sono nata, nelMississippi dell’ apartheid. Niente acqua corrente, elettricità, nessuna possibilità. Mia nonna mi diceva: “Spero che tu cresca e vada a servizio da bravi bianchi”. Era una collaboratrice domestica e lavorava per una famiglia bianca che ci dava da mangiare, i vecchi vestiti. E lei pensava che fosse la cosa migliore che potessi avere. Non aveva idea che avrei finito per avere dei bianchi che lavorano per me. Quanto al sogno americano: sì, penso che sia ancora molto vivo, e lo sarà ancora di più se Kamala Harris vincerà, perché sarà un presidente per l’intero Paese. Ovviamente c’è chi vuole proteggere le proprie finanze e si preoccupa delle tasse, e anche io sono tra i privilegiati. Ma è essenziale che chi sia al comando rispetti i cittadini che serve. Questa è la scelta di Kamala Harris e Tim Walz».
Ha risposto per le rime a J.D. Vance che definiva Kamala Harris una gattara senza figli.
«Sì. In America, se la casa è in fiamme, cerchiamo di far uscire la gattara e torniamo a prendere anche il gatto. E comunque io non sono una gattara. Se Vance inizia a parlare di una “dog lady”, (canara, ndr ),quelle saranno parole di lotta per me: ho avuto 21 cani nella mia vita».
Per gli analisti chi vota Trump è motivato da una profonda rabbia.
«Ci sono una serie di ragioni per cui le persone sostengono l’altro partito. Non credo sia solo rabbia. Una delle grandi lezioni che ho imparato in 25 anni di lavoro è che c’è un denominatore comune nella nostra esperienza umana: tutti vogliono essere visti e sentirsi ascoltati, sapere che contano. Trump dice qualcosa che ritengono rilevante, riconoscibile per loro. E si indentificano in lui, sentono che lui li vede».
Harris dovrebbe fare lo stesso?
«Ha un gran lavoro davanti a sé: far sapere alle persone che lei vede e apprezza tutta l’America. Questo è il lavoro che abbiamo davanti, far sapere loro che sono importanti».