Corriere della Sera, 30 agosto 2024
Ritratto del generale Vannacci
L’Europa, certo, che non si accontenterà di sforbiciate alla spesa ma pretende riforme strutturali che garantiscano la sostenibilità del nostro debito pubblico. Poi lo spettro dello ius scholae, agitato con ardore variabile da Forza Italia. E ancora, stipendi e pensioni, giustizia e carceri, più l’ombra non trascurabile di un referendum sull’autonomia differenziata. Altro? Eh sì, c’è anche dell’altro.
Dalla lunga fila di problemi che attendono il governo alla ripartenza dopo un agosto turbolento, e non per complotti esterni ma per conflitti interni, spunta vistoso il testone di Roberto Vannacci. Ma nonostante il generale non faccia molto per nascondersi, il suo agitarsi non pare preoccupare troppo la maggioranza di cui a pieno titolo fa parte. Eppure l’annuncio di avere cominciato a strutturare un movimento che si chiama come il libro che l’ha lanciato, Il Mondo al Contrario, che ha già 8 mila iscritti (30 euro a tessera), una struttura articolata in cinque macro aree nazionali, più due sedi estere molto indicative, cioè Russia e Ungheria, qualche attenzione in più la meriterebbe. Di sicuro tra i ranghi della Lega, che si ritrova con un fianco destro così pronunciato che quasi scavalca Fratelli d’Italia, forza egemone di quell’area. Arruolato da Salvini con un colpo di politica-mercato, teorico della normalità statistica come metro di misura dei diritti.
Proprio con le sue teorie sulla normalità (se sei «fuori norma», perché nero o omosessuale per esempio, femminista o migrante o persino ambientalista, stai al tuo posto e non rompere), Vannacci ha portato alla causa 560 mila preferenze e si è conquistato un posto nell’Europarlamento. L’onta di non essere accettato come vicepresidente dai nuovi Patrioti di Marine Le Pen e Viktor Orbán per «dichiarazioni che non corrispondono ai nostri valori», segno inequivocabile di chi non si cura di passare alcun segno, ha però se possibile rafforzato la feroce determinazione a scalare posizioni: da illustre gregario a leader di una minoranza rumorosa che vede in lui l’agognato uomo forte, capace di trasformare il rancore in furore da battaglia, senza accortezze né diplomazie. La sua marcia su Roma e Strasburgo ha ormai un disegno leggibile e la trascuratezza degli alleati di coalizione promette di renderlo ancora più celere e agevole. Fabio Rampelli, uno degli zii putativi di Giorgia Meloni, ha appena detto a Repubblica : «Sono per la separazione delle carriere. Vannacci è stato un ottimo generale. La politica è un’altra cosa». Molti nemici eccetera. Ma proprio qui sta un nodo non trascurabile della questione: la sovrapposizione delle carriere.
È successo e succede per molte categorie, e tra quelle più esposte al tema c’è sicuramente quella dei magistrati. Ma ci sono ambiti, e soprattutto ruoli, che suonano incompatibili con discese tanto ardite nel campo minato della politica. Dal sito del ministero della Difesa, Roberto Vannacci risulta tuttora Capo di Stato maggiore del Comando delle Forze terrestri, in aspettativa per mandato elettorale. Non sarebbe il momento per lui di dimettersi onorevolmente da un così alto incarico, che prevede tra le molte altre cose la fedeltà alla linea del governo in politica estera e il rispetto assoluto della Costituzione sui princìpi che la ispirano e la innervano?
Qualche giorno fa, a «In Onda» su La7, riferendosi all’ormai celebre contesa con Pier Luigi Bersani e a un successivo intervento di Rosi Bindi, il generale ha detto: «Siccome non è vietato da nessun ordinamento essere fascista, non lo ritengo un’offesa, anche se personalmente non lo sono perché il fascismo è una cosa passata, come se mi dicessero napoleonico. Coglione è un’offesa, fascista no».
In una pagina del Corriere della Sera del 21 agosto, dedicata al nascente movimento Il mondo al Contrario, interviene il fondatore, Fabio Filomeni, tenente colonnello in congedo della Folgore, che Vannacci chiama amichevolmente «il camerata» e col quale ha condiviso imprese belliche dal Ruanda all’Iraq. I due appaiono in una foto dove fanno il segno della X, esplicito omaggio alla X Mas, corpo indipendente della Marina fascista, nato dopo l’8 settembre 1943 agli ordini di Junio Valerio Borghese. La Decima aveva come simbolo un teschio con una rosa tra i denti (effigie della «bella morte»), si alleò da subito con i nazisti, si batté contro l’avanzata degli Alleati e contro i partigiani, macchiandosi di crimini di guerra, fino alla resa, il 26 aprile 1945, il giorno dopo la Liberazione. Ed è a tutto questo che fa riferimento l’esibizione di quella X da parte dei due ex commilitoni.
Il «camerata» Filomeni spiega comunque che per ora i «vannacciani» stanno solo organizzandosi. «Se fonderemo un partito? Chi vivrà vedrà». E anche se il capo, parlando in terza persona, assicura che «Vannacci non ha alcuna intenzione di andarsene dalla Lega», non esclude però la nascita di una sua lista e dà appuntamento ai moltissimi fedelissimi per il 19/20 settembre a Viterbo. Sarà probabilmente lì, al debutto di «Noi con Vannacci», che verrà sancito l’ulteriore salto di stato della nuova stella del firmamento politico nazionale. Il militare che scrisse un libro, diventando un riferimento per chi dice no a ogni ipotesi di società multiculturale («la cittadinanza italiana non si svende come se si fosse al mercato: se uno nasce in una scuderia, non è mica per forza un cavallo»), con l’evento viterbese uscirà del tutto dai ranghi e prenderà ufficialmente il comando di qualcosa che renderà ancora più stridente la sovrapposizione con l’altro sé, l’altissimo ufficiale al servizio della Patria, tutta quanta e non dichiaratamente una soltanto, quella di legge, ordine e disciplina, il famoso passato che non passa.
Consiglio non richiesto. Anticipi le polemiche, signor Vannacci, e compia uno di quei beau geste che la sua formazione contempla come eroici: si dimetta da generale e entri nell’agone politico come l’uomo qualunque che così sapientemente incarna.