Il Messaggero, 29 agosto 2024
Biografia di Sarah Bernhardt, attrice
«Gli rimetterete la sua uniforme bianca». Con questa battuta del gelido primo ministro Metternich si chiude, il 15 marzo 1900, la pièce teatrale di Edmond Rostand, L’Aiglon, “L’Aquilotto”. Dedicata, appunto, al figlio dell’Aquila, a quel Napoleone II re di Roma che alla nascita – il 20 marzo 1811 – aveva ricevuto in eredità l’Impero dal genitore e a soli 4 anni non aveva più nulla. Portato a Vienna da sua madre, l’arciduchessa Maria Luisa moglie fedifraga di Bonaparte, e lasciato lì dal nonno Francesco I d’Asburgo, ostaggio della ragion di Stato e dell’odio di Metternich verso suo padre, l’Aiglon era morto di tisi e di solitudine a 21 anni, nel 1832.SIMBOLOSe la vita triste e breve di quel principe francese divenuto duca di Reichstadt presenta pochi spunti gloriosi, la sua scomparsa e gli accadimenti successivi lo tramutano nel mito romantico per eccellenza, simbolo di una Francia in cerca di rivincita. Si sono infatti susseguiti il II Impero di Napoleone III (cugino dell’Aiglon), la sconfitta di Sedan del 1870, l’occupazione tedesca dell’Alsazia e della Lorena, l’umiliante Trattato di Francoforte. E in molti hanno visto un’analogia fra le sorti del figlio di Napoleone – prigioniero degli Asburgo, “austricizzato” e sepolto nella Cripta dei cappuccini – e la “germanizzazione” dei territori occupati.È una similitudine che commuove, come tutta la vicenda del giovane. Innumerevoli sono i poemi, i romanzi, i testi su colui che Barthélemy chiama Le fils de l’homme, “Il figlio dell’uomo”. Ma è Edmond Rostand – autore, fra l’altro, di una frase straordinaria, «non tutti i mascalzoni sono moralisti, ma tutti i moralisti sono mascalzoni» – a scrivere la pièce che lo consacra ulteriormente. E cristallizza il trionfo della persona che lo interpreta sulla scena. Che pronuncia, prima di morire, i versi famosi: «E la Storia, del resto, non si ricorderà/del Principe che bruciava di tutte le febbri.../ma rivedrà, nella sua carrozza tirata da caprette, il bambino dal colletto ricamato che, roseo, grave e biondo, teneva in mano, come fosse una palla, il globo del mondo».IL SIPARIOMentre cala il sipario, quel 15 marzo 1900, il teatro di Châtelet esplode. Anatole France, i principi Murat, Victorien Sardou e tanti altri applaudono freneticamente. L’interprete principale del dramma viene richiamata per 30 volte sulla scena. Non si tratta di un giovane attore, bensì di un’attrice di 56 anni. É Sarah Bernhardt in abiti maschili, con indosso la bianca uniforme da colonnello austriaco disegnata da Paul Poiret. Farà ancora repliche e tournées di successo, portando in giro la storia di Napoleone II.Del resto, per le strane coincidenze di cui il caso si compiace, diversi sono i legami fra la famiglia Bonaparte e colei che alla nascita, il 22 ottobre 1844, si chiama Henriette Rosine Bernard. La piccola diviene infatti la protegée del Duca de Morny, figlio naturale di Ortensia de Beauharnais (a sua volta, figlia di Giuseppina moglie di Napoleone) e di Charles de Flahaut, che è il rampollo illegittimo di Talleyrand. Il duca de Morny, fratellastro di Napoleone III, è l’amante prima della zia di Henriette e poi della madre, una cortigiana di origine olandese ed ebraica. Grazie a lui, la futura Diva della Belle Époque studia al Conservatorio di Parigi, entra alla Comédie-Française, poi all’Odéon. Conosce un primo trionfo ne Le passant di Coppée, nel 1869. «Sentirla declamare versi è come sentire il canto degli uccelli», viene scritto. Detta “La Voce d’oro”, prende il nome d’arte con cui sarà nota nel tempo, mentre la sua scalata si fa inarrestabile. «Ah, Sarah, Sarah! Grazia, giovinezza, divinità! Mio Dio, che donna!» dice il poeta Louys. Interpreta Racine e Shakespeare, Sardou e Molière, Dumas, Hugo e tanti altri. La dizione cristallina, la capacità di posa, l’espressività straordinaria, l’abilità nel suscitare emozioni, la versatilità nell’interpretare personaggi femminili e maschili, giovani e vecchi, la rendono la più grande attrice del tempo. A competere con lei c’è solo Eleonora Duse; entrambe hanno uno stretto rapporto con D’Annunzio.I MANIFESTIEclettica, la Bernhardt ha talento nella scultura ed espone in varie città. Geniale comunicatrice, commissiona ad Alphonse Mucha i manifesti dell’opera Gismonda, ottenendo un grande successo e iniziando con lui un sodalizio importante. La Divina è pure una manager, fonda la propria compagnia nel 1880 e fa l’impresaria. Acquista un teatro a Parigi, a cui dà il proprio nome. Patriota, sostiene la Francia e si schiera con Dreyfus nell’affaire omonimo. La sua vita privata è tumultuosa al pari di quella pubblica; si sposa più volte, si lega a uomini e donne, con storie parallele e a volte lunghe. A casa ha uno zoo, con una tigre e un ghepardo. Inarrestabile, «in tutti i Paesi del mondo è accolta meglio dei re». Recita nel cinema muto, riceve la Légion. Ispira a Proust la figura di Berma ne La Recherche. Nel 1915 le amputano una gamba ma lei, simbolo della Francia, visita i soldati al fronte su una lettiga, acclamatissima. Muore nel 1923. I suoi funerali sono «una delle cerimonie più nobili e commoventi mai tenuti a Parigi».