La Stampa, 29 agosto 2024
"La Lega è finita con la sciagurata estate del Papeete"
«Matteo Salvini ha scelto Roberto Vannacci perché vale il 2%, in pratica la differenza fra la vita e la morte politica. Il problema è che, da buon militare, ora Vannacci fa “l’embedded” e contribuisce al fatto che oggi non si sa più la Lega che partito sia. Ma Vannacci è solo l’ultimo capitolo di una storia che risale alla sciagurata estate del Papeete». Roberto Castelli, ex ministro della Giustizia ed ex leghista di lungo corso (oggi promotore del Partito Popolare del Nord), non fa sconti all’attuale segretario del Carroccio.Castelli, cosa c’entra il generale eletto da indipendente nelle liste della Lega all’Europarlamento con il Papeete?
«C’entra, c’entra. Cinque anni fa Salvini, ubriaco del successo clamoroso delle Europee, si è messo in testa che voleva fare il primo ministro. Da allora non gli è importato più nulla del disegno politico. Ha annunciato che voleva i pieni poteri e ha trasformato la Lega da sindacato del Nord a partito nazionale di destra, perché per avere la maggioranza doveva raccogliere voti in tutto il Paese».
Il Carroccio in quel momento era il primo partito con oltre il 34% dei consensi.
«Salvini ha sbagliato perché non ha nemmeno preso in considerazione un fatto ovvio. E cioè che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si sarebbe opposto allo scioglimento del Parlamento. In quel momento è iniziato il suo declino».
In che senso?
«Ha rinunciato all’ideologia nordista della Lega per trasformarla in un partito di destra, ma quello spazio era già occupato da Giorgia Meloni. Il matrimonio d’interesse con Vannacci è la prosecuzione di questa storia. È un matrimonio che conviene a tutti e due: il generale è stato eletto senza dover organizzare da zero un partito, forte del suo successo editoriale, mentre Salvini non è crollato».
Crede che Vannacci potrebbe creare una sua corrente dentro la Lega?
«Oggi è forte e farà valere la sua forza. Mi stupirei del contrario. Salvini resterà il leader, ma Vannacci sarà sempre più ingombrante».
A coprire il Nord, insomma, sono rimasti solo i governatori…
«Sicuramente come azione amministrativa e a livello ideologico è così. Ma ogni volta che c’è un consiglio federale in via Bellerio la loro linea non si vede e non si sente. Fossi in loro, poi, invece che aspettare che la brutta legge sull’autonomia del ministro Calderoli naufraghi penosamente, proverei a percorrere un’altra strada per far valere le ragioni del Nord».
A cosa pensa?
«Il titolo quinto della Costituzione prevede che le Regioni possano accordarsi fra di loro sulle 23 materie di loro competenza, senza passare dal Parlamento. È uno strumento potente, un grimaldello per la macroregione. Pensiamo a cosa potrebbero significare degli accordi macroregionali sulle grandi infrastrutture, sulle reti energetiche o sulla scuola».