la Repubblica, 29 agosto 2024
La destra che vuole prendersi il cinema italiano
Venezia – La mostra su Tolkien, fatta. L’evento sul futurismo, lo sta organizzando Osho. Manca il convegno su Prezzolini, tempo al tempo. La fantasia non è il forte della nuova destra in cerca di egemonia culturale, con il direttore del Maxxi Alessandro Giuli che fa libri su Gramsci e Pietrangelo Buttafuoco, presidente della Biennale, che ieri elegantissimo ha accolto sul tappeto rosso una cariolata di divi hollywoodiani attirati dalla rinascita del Lido e cerca una terza posizione, come il vecchio Fronte della Gioventù: né Usa-né Urss-Barbera nazione.In attesa di un guizzo sangiulianesco che non sia una retrospettiva Blasetti o una monografia su Buzzanca, la Mostra di Venezia dell’anno II e.M. – era Meloni – la prima davvero in piena nuova stagione, si industria dunque come può a dare segnali di rivincita degli ex vinti. Il riconfermato Barbera – ma in alcuni ambienti culturali vicini al potere meloniano si preferisce dire «prorogato» – qualcosina ha concesso all’aria dei tempi: il film di chiusura a Pupi Avati, per esempio, cantore del piccolo mondo antico che da tempo ha raccolto la bandiera che fu di Pasquale Squitieri, nel ristretto novero dei cineasti dall’altra parte della barricata. Poca cosa, però: sarà proiettato quando la gran parte del pubblico e degli accreditati è tornato alla vita borghese. Ai tempi del vecchio centrodestra berlusconiano, direttore Muller, successe di peggio. Certo, bisogna vedere pure quello che non c’è, tipo il film di Daniele Segre su Enrico Berlinguer lasciato al Festival di Roma, sotto i cavalcavia della tangenziale capitolina, e fa un po’ strano perché Segre al Lido c’è venuto ogni volta che aveva pronto un film, ma non stavolta. I maligni dicono che Barbera abbia voluto compensare la presenza in programma della serie M – Il figlio del secolo, tratto dal primo libro di Antonio Scurati, cioè la serie su di Lui, Benito Mussolini, dove ci si permette di sbeffeggiare il vate futurista Filippo Tommaso Marinetti. Agli occhi della nomenclatura destrorsa che oggi nomina e dispone, indirizza ed esautora, il cinema resta un bernoccolo che non si spiana, un bulbo pilifero che non attecchisce in una calotta cranica evidentemente meno fertile di quella del ministro Lollobrigida. Fortino scalcinato ma inespugnato anche ora che non ci sono più – ma da mo’– Lizzani e Maselli, Scola e Gregoretti, l’Anac (Associazione nazionale autori cinematografici) di Cesare Zavattini e i film di Marco Bellocchio prodotti da Servire il popolo. I nemici della Nazione meloniana pullulano nelle sale del Lido, né scappano come piccioni e gabbiani alla vista dei falchi che l’hotel Excelsior ha noleggiato da un falconiere di Verona per tenere alla larga dai tavoli vip i molesti uccelli (Gualtieri ci pensi, ma chissà se a Roma scapperebbe il falco o il gabbiano).Il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ha cominciato a metterci mano partendo dal vil denaro, la riforma del tax credit, cioè dei contributi pubblici alle pellicole. «Abbiamo visto all’opera rampolli di famiglia con risultati davvero modesti», ha scritto Sangiuliano in una lettera alFoglio per motivare la riforma, deplorando, sempre senza citarlo, il flop al botteghino di un film che pareva proprio quello di Saverio Costanzo, Finalmente l’alba).Ma costruire l’egemonia cambiando il tax credit e destinando una cinquantina di milioni a non meglio precisati «film di identità nazionale» è un po’ come sperare che nasca una Leni Riefenstahl solo perché hai dato alle fiamme il Reichstag – a proposito, in cartellone a Venezia c’è un film sulla grande documentarista tedesca, purequi bilanciato da uno sul compagno Gian Maria Volonté. Se l’esempio delle fiamme vi pare maligno non sbagliate, dato che a distanza di due mesi dall’incendio che ha devastato i locali del Centro sperimentale di cinematografia diretto da Sergio Castellitto, altra nomina di nuovo conio, non si sa ancora come, perché e cosa sia andato distrutto (centinaia di copie di vecchi film, pare, rare o uniche). Castellitto tace.Al Lido invece si ciacola già e molti addetti ai lavori si interrogano sul curriculum della neo nominata ad di Cinecittà, Manuela Cacciamani («Ha iniziato a lavorare fin da giovane nelle più grandi produzioni americane tra cui Gangs of New York di Martin Scorsese eOcean’s Twelve di Steven Soderbergh», recitano le biografie on line), che come produttrice vanta l’esordio nel 2012 conFairytale, un horror ambientato a Latina, guarda tu la lungimiranza della location. Ministro, una mostra su Littoria no?