Corriere della Sera, 29 agosto 2024
Burton & Bellucci: uniti da un horror
Venezia - Avanti con la prima diva, la lista è lunga quest’anno. Monica Bellucci al Lido per Beetlejuice Beetlejuice, il film di Tim Burton che ha aperto la Mostra del cinema, fra lampi e tuoni che irrompono nelle prime immagini, mentre i fan sono fuori, appollaiati da ore con ombrelli parasole e bottigliette d’acqua e questo è un «film» che si ripete ogni anno. Tim mostra fantasmi, tempeste e sogni di notti di fine estate, davanti ai politici (Sangiuliano, Zaia, Brugnaro), alla madrina Sveva Alviti (invisa ai cinefili radicali che si chiedono “Sveva chi?”), al direttore Alberto Barbera che ammonisce: occhio che i giovani vedono i film su Youtube altro che sale, al neo presidente intellettuale Pietrangelo Buttafuoco che tuona anche lui e proclama: «Abbiamo la responsabilità civile, poetica e politica della bellezza».
Nel pomeriggio, prima di entrare in sala circondata dal circo frenetico, l’attrice sembra Monna Lisa evaporata dal Louvre. Guarda fissa davanti a sé, composta, curiosa, sorniona, meravigliosamente ambigua, affamata di scoprire sempre cose nuove. E lo sguardo stralunato del suo compagno Tim Burton, dai capelli arruffati come al solito, non lo intercetta mai.
L’outsider insider di Hollywood che tiene vivo il bambino che c’è in lui (e quando disegnava alla Disney fuori dalla finestra vedeva l’ospedale dov’è nato e il cimitero in cui i suoi genitori furono sepolti, e tutto è finito nella centrifuga della sua fantasia inquieta, dentro e fuori la realtà) insomma l’outsider insider deve aver curato anche la «regia» dell’incontro coi media.
Vestiti entrambi di nero che si sposa col film, sono due sessantenni innamorati, come succede oggi che l’amore va oltre il tempo e l’età. E lei rivendica la voglia di una divertita leggerezza. Benché si siano già offerti ai fan mano nella mano alla romana Festa del cinema, uniti anche nelle origini di province malinconiche (lui nell’asettica californiana Burbank, lei nel verde umbro di Città di Castello), non vogliono farsi sbranare da sguardi indiscreti, così in sala con i media si mettono fisicamente separati dai protagonisti di questo sequel, un cult di 35 anni fa. E lei sembra tornata bambina, Beetlejuice «è imprevedibile ma c’è una morale, si parla d’amore, di morte, di vita». Monica si dice grata di essere entrata in una creatività fuori dall’ordinario. I protagonisti sono Michael Keaton, al Lido dieci anni fa portò Birdman che poi vinse 4 Oscar, e Winona Ryder, piuttosto irriconoscibile nel contrasto tra pelle levigata e lunghi capelli, il volto racconta tutte le sue montagne russe.
Beetlejuice Beetlejuice (nelle sale dal 5 settembre per Warner Bros.) è una rimpatriata di grazia lugubre col sorriso sulle labbra che deve conciliare casa dei sogni e casa dei fantasmi. Ma vivi e morti possono coesistere?
«Di questo film non si possono scorgere influenze, è nato così, dalla fantasia di Tim, è come un’opera d’arte, un quadro da appendere alla parete – dice Michael Keaton alla quinta volta tra le tenebre di Tim – per me è stato un salto nel buio, mi dicevo, cavolo, ce la farò dopo tutti questi anni?».
A rimettere insieme la famiglia Deetz è ancora una volta un decesso, che riunisce tre generazioni nell’immaginaria contea di Winter River. Ma c’è una new entry ed è la nostra diva Monica, un ruolo che è un atto d’amore del suo fidanzato. L’ha fatta entrare nel suo mondo onirico, goticheggiante, poetico. Leiè Delores, di poche parole, ex moglie vendicativa dell’indemoniato, istrionico e sboccato Beetlejuice-Keaton che scaccia viventi molesti per dar pace ai fantasmi, l’unica volta che si spaventa è quando lei si palesa, risvegliandosi dall’aldilà, armata di tutte le sue cicatrici.
«Per me – dice lei in inglese – è un grande onore, Tim è un artista in grado di creare situazioni fantastiche, spaventose, divertenti. Mi ha aiutata a creare questo mostro che si muove come una bambola a pezzi, mi sono sentita come un mimo. Adoro la sua dualità: cattiva e pericolosa, e affascinante. Una metafora della vita, tutti abbiamo delle cicatrici emotive che ritornano. Un film che parla di donne e di tre generazioni che si amano e si sopportano».
Tim niente, tira dritto e parla dell’improvvisazione sul set, dice che non ha fatto il sequel per denaro, racconta del suo amore per l’horror italiano, citato nel film con dialoghi nella nostra lingua. E Monica, sedotta dalla forza costruttiva di un uomo intelligente e creativo, dall’umanità che tira fuori dagli effetti speciali dei suoi fumetti per immagini, desiderosa di giocare con la sua sensualità morbida in un amore adulto amorevolmente interviene: «Ho scoperto Mario Bava grazie a Tim, sa sempre cosa vuole, ci siamo sentiti tutti protetti».
Riecco lui: «Ho voluto girare un film su una strana famiglia. Non ho mai capito perché abbia avuto tutto questo successo. È stato bellissimo vedere tutto questo riprendere vita. Se ci sarà un terzo Betleejuice? Ci sono voluti 35 anni per il sequel, altri 30 e ne avrò più di 100…Non credo».