Corriere della Sera, 29 agosto 2024
Recensione di Beetlejuice Beetlejuice di Tim Burton
Arrivato a 65 anni Tim Burton non ha perso la voglia di divertirsi. Forse non è più tempo per ritrovare i suoi simpatici freaks, per rivendicare il piacere (e il diritto) alla marginalità come Edward mani di forbice o Ed Woods e anche il gusto per le storie (come in Big Fish – Le storie di una vita incredibile) non è più quello di una volta, ma la fantasia è ancora pronta a scatenarsi e qualche colpo di genio (la ricostruzione di Monica Bellucci nei panni di Delores è da antologia) c’è ancora. A tener insieme tutto è Beetlejuice Beetlejuice, l’attesissimo sequel del film di trentasei anni fa che ieri ha inaugurato fuori concorso la Mostra e dove ritroviamo tre generazioni della famiglia Deetz: Lydia ha ancora il volto di Winona Ryder, nel ruolo della nonna Delia c’è sempre Catherine O’Hara mentre la nipotina è affidata a Jenna «Mercoledì» Ortega. A innescare l’agitato e divertente andirivieni tra mondo dei vivi e mondo dei morti sono naturalmente questioni di cuore: la giovane Astrid si innamora di un bel ragazzo (Arthur Conti) senza sospettare che sia un fantasma; la mamma vorrebbe convolare a nozze con il suo produttore televisivo (Justin Theroux) se non ci fosse il maligno spirito Beetlejuice (Michael Keaton) che rivendica una promessa di matrimonio dal film precedente e Delia sbaglia aspide (convinta di averne scelti due senza denti) per una danza rituale sulla tomba del marito. La logica ogni tanto latita e per divertirsi bisogna tornare un po’ bambini, ritrovando quella libertà inventiva che porta Burton a moltiplicare i punti di vista sui suoi personaggi, tutti in qualche modo alle prese con quello scanzonato gusto del macabro che è la sua immagine di marca. E la bella Delores ricostruita pezzo per pezzo e tenuta insieme dalle graffette di una pinzatrice (che lei stessa si infligge) sembra la divertita metafora di un cinema che riusa i pezzi del passato (come fa Hollywood con i suoi troppi remake) per ritrovare il gusto di un divertimento costruito sull’accumulo e sulla sorpresa.