Corriere della Sera, 29 agosto 2024
Tariffario per cacciare in Abruzzo
Cinquanta euro per un cucciolo di cervo; 100 per le femmine giovani (12-24 mesi) e adulte (con più di 24 mesi); 150 euro per i maschi giovani e 250 euro per gli adulti (con più di cinque anni), se i cacciatori sono residenti in Abruzzo. Sono solo alcuni dei prezzi allegati alla ormai nota delibera di Giunta regionale n. 509 dell’8 agosto 2024, che ha approvato l’abbattimento di 469 cervi in due aree dell’Aquilano, in vista della stagione di caccia che si aprirà il prossimo 14 ottobre.
Oltre alle indicazioni (comportamento, realizzazione degli appostamenti, verifica e registrazione dei capi abbattuti, ad esempio), il disciplinare contiene – infatti – anche un tariffario per i cacciatori assegnatari dei capi da abbattere, chiamati a versare un contributo economico, chiamato «premio», all’Ambito territoriale di caccia di riferimento. Le cifre cambiano in base all’età e al sesso degli animali e alla provenienza geografica del cacciatore. I «premi» aumentano, infatti, se non si è residenti in Abruzzo: si arriva fino a 600 euro per un maschio adulto. Per gli esemplari adulti con trofeo le tariffe non sono, invece, state esplicitate: il prezzo verrà stabilito da un esperto abilitato e individuato dall’Atc, gli istituti che riceveranno i fondi. In particolare, i cacciatori sono chiamati a versare entro 10 giorni dall’assegnazione un acconto pari al 30 per cento del «premio» stabilito per il capo attribuito, e il saldo entro 10 giorni dal prelievo.
E se la densità dei cervi nelle aree interessate è di poco superiore alla soglia che permette la caccia di selezione, fissata a due capi per chilometro quadrato (i comprensori 1 e 2 interessati dal prelievo venatorio hanno rispettivamente valori di 2,58 capi e 2,39 capi per chilometro quadrato), la vicenda ha scatenato le proteste delle associazioni. «Un provvedimento suicida», che «appare sempre più una completa delega della gestione di una specie simbolo della nostra regione ai cacciatori», spiega Luciano Di Tizio, presidente del Wwf Italia. Quella trovata dalla Regione «l’affidarsi ai fucili, è una comoda scorciatoia che consente ai politici di dire “ho fatto qualcosa”, senza impegnarsi davvero a sostegno del mondo agricolo», aggiunge, pensando a sistemi come dissuasori, recinti elettrificati e rimborsi certi e rapidi. Le uccisioni – invece – «non risolvono nulla: da decenni si contrasta l’aumento dei cinghiali con la caccia e i cinghiali, peraltro introdotti per ragioni venatorie, continuano a aumentare. Non è quella la strada giusta. Eppure...», chiarisce.
«Al peggio non c’è mai fine. Non soltanto l’Abruzzo, in passato una delle più attente alla convivenza con la fauna selvatica, ha decretato la morte di quasi 500 cervi, ma sostanzialmente li “vende” ai cacciatori secondo un tariffario tanto dettagliato quanto imbarazzante», conclude l’onorevole Michela Vittoria Brambilla, presidente dell’Intergruppo parlamentare per i diritti degli animali e della Leidaa. «Ecco a quali aberranti conseguenze si può arrivare quando si decide di aggredire il patrimonio di tutti a vantaggio di pochi».
Nelle scorse settimane, intanto, il Wwf ha lanciato una petizione online (che ieri ha superato le 79 mila firme, ndr ) per chiedere alla Regione di revocare la delibera, abbandonare l’idea del prelievo selettivo e aprire un tavolo di confronto che porti a valutare e intraprendere altre soluzioni per limitare i danni all’agricoltura e il rischio da impatto con autoveicoli.