Corriere della Sera, 28 agosto 2024
Overtourism? Un’illusione ottica: i prezzi aumentano, i soldi stanno finendo e gli italiani restano a casa
Si fa un gran parlare di overtourism, anglicismo che più prosaicamente possiamo tradurre con l’invasione di città bellissime, mortificate da orde di truppe cammellate di turisti, con i panini plastificati pronti nello zaino, scarrozzati da autobus inquinanti e condotti alla meta da guide con ombrellino e microfono. Si segnala, dunque, il numero chiuso a Venezia, una Firenze sotto assedio e il Mortadella Gate di Bologna (all’estero anche Barcellona e Amsterdam non stanno benissimo). L’inevitabile clamore mediatico rischia di creare una falsa impressione, e cioè che gli italiani siano felici e spensierati e pieni di soldi e viaggino e spendano come non mai. Non è così, purtroppo. Dietro l’overtourism, fenomeno che riguarda soprattutto gli stranieri, c’è un’economia che zoppica, un potere d’acquisto che è precipitato, italiani che viaggiano sempre di meno e una crisi della ristorazione che ancora non è percepita appieno. Si è scritto che quest’anno c’è stato un aumento del turismo in Italia. Vero, anche se i dati non sempre coincidono. Peccato che si tratti solo di stranieri, soprattutto americani: rispetto al 2023 ci sarà il 4 per cento di presenze in più dall’estero. Ma il calo di presenze italiane è netto e a luglio e agosto si è accentuato. I motivi sono tanti e proveremo a spiegarli, ma la causa primaria si può riassumere facilmente: non ci sono più soldi. Il potere d’acquisto è crollato, i prezzi delle materie prime e dei servizi sono lievitati. Dopo l’anno d’oro post Covid quando, sull’onda dell’entusiasmo per la ritrovata libertà, si usciva, si viaggiava e si mangiava a quattro palmenti, ora è tornata la frugalità. Non come stile di vita, ma come necessità di cassa.
I dati vanno letti con attenzione. Perché il calo di luglio e agosto del turismo interno riguarda soprattutto le località balneari e le grandi città. Impossibile non ipotizzare che c’entri il cambiamento climatico, con il clima torrido che spinge verso luoghi più freschi (è il momento di investire in montagna) e svuota le città. L’onda lunga dell’inflazione, come dice con metafora quasi estiva il Sole 24 Ore, ha però un ruolo fondamentale. Ci sono città che soffrono di più. Napoli segna un – 20%. Agrigento – 25%. In Liguria le presenze sono calate del 5 % e, quel che è peggio, sono calati i consumi di chi arriva. Alcune città hanno una situazione particolare, ma che si iscrive in una crisi più generale: ad Alghero le vendite dei fornitori e grossisti di alimenti e bevande hanno subito una contrazione che varia dal 25% al 37%. E Bologna? La città messa nel mirino da Ilaria Maria Sala in un pezzo per il New York Times, che parlava di overtourism e dittatura della mortadella di bassa qualità, è in crisi pure lei: i ristoranti del centro sono vuoti, si accusa il gran caldo ma forse non è solo quello.
Il problema è che il costo della vita è aumentato. Non sono solo rincari percepiti, lamentele cicliche e localizzate. Per quanto riguarda le vacanze, affittare un ombrellone con lettino è costato un 4% in più, il trasporto marittimo è a +11,4%, i pacchetti vacanza a +2,8% (dati Codacons). Il settore del turismo è ad alto rischio default, come segnala uno studio del Crif: le imprese del turismo registrano un tasso minore di pagatori puntuali (20%) e un numero maggiore di pagatori con grave ritardo (17,4%).
E Roma? I titoli parlano di «boom del turismo» ma, se si legge anche il resto degli articoli, la prospettiva cambia. Guardiamo alla ristorazione: con il «boom del turismo», dovrebbe andare a gonfie vele. E invece, rispetto all’agosto del 2023, i ristoranti hanno avuto un calo di prenotazioni del 13 per cento. A estate finita si faranno i conti, ma i gestori ce li hanno già ora e non sono affatto positivi. Del resto, allargando la vista a tutto il territorio nazionale, nel 2024 il numero di attività di ristorazione registrate è diminuito per il terzo anno consecutivo, passando dalle 392.535 del 2022 a 387.583 (-1,2%) nel 2023. Per il secondo anno di fila, è calato anche il numero di quelle attive: da 335.817 a 331.888, con un saldo di -3.929 (-1,16%). Bene, dirà qualcuno, c’erano troppi locali. Ma se diminuiscono i ristoranti, e crollano le entrate, non è un problema solo dei proprietari. È l’indice di un minore potere d’acquisto degli italiani.
Torniamo dunque all’inizio: son finiti i soldi. C’è un altro dato dell’Ocse che ce lo conferma: nei primi tre mesi del 2024, in Italia il potere d’acquisto era più basso del 6,9% rispetto al 2019. Questo è il dato più basso di tutti i Paesi Ocse, dove in media è aumentato di poco meno del 2% nello stesso periodo. Del resto i salari sono aumentati in termini assoluti ma molto meno dell’inflazione.
Sono dati che dovrebbero essere al centro del dibattito pubblico. Anche perché incidono – più di altri temi comunque importanti – sull’umore e sugli orientamenti degli elettori. Ne sa qualcosa Joe Biden che, a dispetto dei buoni risultati economici, ha dovuto sopportare indici di popolarità bassi nei mesi scorsi non solo a causa dei noti problemi di senilità, ma anche a causa di un’inflazione percepita e reale che metteva e mette in allarme gli americani e in particolare la classe media. Dunque, forse è ora di smetterla di entusiasmarci per l’ondata di turisti stranieri e di strapparsi i capelli per l’overtourism (che comunque va affrontato). Come ha spiegato anche il direttore del Corriere Luciano Fontana: «Siamo tutti naturalmente molto felici della crescita dei turisti stranieri: ma avete visto mai un Paese leader nel mondo economico globale che fondi la sua forza sul turismo e non sulla produzione manifatturiera e sulla capacità di affermare i suoi beni e i suoi servizi? Sarebbe molto utile, dopo il pieno delle polemiche estive, che governo e opposizioni decidessero di cambiare registro e che le vere emergenze fossero finalmente, se non risolte, almeno affrontate».