il Fatto Quotidiano, 28 agosto 2024
Gli Oasis fanno pace: tutto pronto per una nuova tournée
La mazza da cricket finì battuta all’asta. Trent’anni fa, registrazioni per (What’s the story) Morning Glory?. Liam va al pub, rimorchia una pischella, torna in studio con trenta beoni mentre Noel prova Don’t Look Back in Anger. Casino. Rissa. Noel insegue con la mazza il fratello cazzone, cerca di colpirlo. Vaffanculo a tutti, me ne vado, giura il capo. Cinque anni dopo, live a Barcellona. Liam mette in discussione la paternità della bambina che la cognata Meg aveva avuto da Noel. Parapiglia. Vaffanculo 2.0. Avanti veloce, 28 agosto 2009. Prima del concerto di Parigi Liam entra nel camerino dell’altro, brandendo la chitarra come un’ascia. Quasi gli spacca la faccia. Sipario, titoli di coda per la leggenda Oasis. Che prima e dopo era stata imbevuta nel sangue marcio dei Gallagher, un insulto al giorno leva il congiunto di torno. Noel dice di Liam: “È un uomo con una forchetta in un mondo di minestra”. Questi salomonicamente concede: “Non siamo così diversi: io sono un po’ coglione, lui è un po’ coglione”. La storia del rock non sarebbe stata la stessa senza i due coatti mancuniani, così inglesi da profanare pure Buckingham Palace, come quando Noel andò a farsi un tiro nell’inaccessibile bagno privato di Elisabetta.
Non potevano non tornare sul palco: c’è voluta un’estenuante trattativa diplomatica (il Fatto anticipò la notizia un anno fa), ieri mattina l’annuncio ufficiale della reunion, con sito del gruppo andato in crash in tutto il mondo. Il claim dell’evento: “Le armi sono state messe a tacere/ Le stelle si sono allineate/ La grande attesa è finita/ Venite a vedere/ Non sarà teletrasmesso”.
Quattordici date per riaccendere il motore: nel loro “regno”, le isole britanniche. Start dal Galles (forse in omaggio ai Rockfield Studios, dove cominciarono le incisioni dell’epocale secondo album): due concerti al Principality Stadium di Cardiff (4-5 luglio 2025); da lì a casa, l’Heaton Park di Manchester (11-12-19-20 luglio); il tempio di Wembley (25-26 luglio, 2-3 agosto); lo Scottish Gas Murrayfield Stadium di Edimburgo (8-9 agosto), infine Dublino (l’Irlanda delle loro origini), il 16 e 17 agosto a Croke Park. Biglietti in vendita online sabato prossimo alle 10 ore italiane, andranno polverizzati in pochi secondi.
E dopo? C’è un appuntamento non ancora confermato al festival di Glastonbury, poi gli Oasis si sposteranno “in altri continenti” (l’America non è stata mai davvero del tutto conquistata). Presumibilmente torneranno in Europa nell’estate 2026, sempre che non si azzuffino prima. Per l’Italia ci sono già febbrili trattative per almeno una data in un grande spazio aperto, chissà se in una rassegna, un sito archeologico, uno stadio, un aeroporto o un autodromo. Come sia, il nuovo ritratto di famiglia non promette niente di buono. Eccoli lì, ingrugnati, invecchiati il giusto, le rughe a intagliare quelle facce da teppisti. Resteranno uniti per un business da 50 milioni di sterline a testa (roba da calciatori in Arabia), un indotto da almeno 400 milioni messo in circolo dai trentennali di Definitely Maybe (29 agosto ’94) e di (What’s the story) Morning Glory?, (ottobre ’95, l’anno della Battle of the Bands del Britpop contro i Blur), con svelamento di inediti e chicche sparse da suonare ex-novo.
Un affarone. Quante superband, del resto, resistono al richiamo della reunion? Nel tempo, sono riapparsi Genesis, Police, Black Sabbath, Eagles, Guns N’ Roses e mille altri. I Pink Floyd hanno resistito sulla linea del no dopo l’iconica apparizione sul palco del Live 8 nel 2005, con Waters e Gilmour fianco a fianco. I Led Zeppelin hanno tenuto fede al patto di non ritorno dopo la morte di John Bonham nell’80. Giusto tre slot: due dimenticabili al Live Aid ‘85 e alle celebrazioni Atlantic ‘88; infine il concerto (memorabile) a Londra nel 2007 in memoria del boss discografico Ahmet Ertegun, ma niente tour a seguire, per volontà di Robert Plant. E dire che solo per l’evento alla 02 Arena le richieste di biglietti erano state più di 20 milioni.
L’offerta più colossale di sempre fu cestinata dai Beatles, che prima della morte di Lennon si videro sventolare sotto i nasi un assegno da 230 milioni di dollari dal promoter newyorchese Sid Bernstein per un live. I quattro non reputarono fosse una buona idea, come già era accaduto nel 1976, quando l’impresario Bill Sargent aveva messo sul piatto 50 milioni. Peccato che lo show prevedesse, prima del set dei Beatles, la bizzarria di uno spettacolo di lotta tra un uomo e uno squalo bianco, che avrebbero dovuto prendersi a morsi. Roba troppo acida, anche per gli psichedelici Fab Four.