il Fatto Quotidiano, 28 agosto 2024
Dall’Iran alla Spagna: tutti contro Telegram
Il tifo calcistico, fuori dagli stadi, può far perdere la visione della complessità in favore di una lettura polarizzata degli eventi. In termini attuali: Telegram è brutto e cattivo perché non collabora con magistrati e governi? Non proprio, tant’è che, per paradosso, la preoccupazione (della Russia, ad esempio) ora è che il fondatore Pavel Durov possa collaborare fin troppo dopo essere stato arrestato per carenza di collaborazionismo. Il problema, insomma, è che non collabora come vorrebbero gli altri, bensì come vuole lui. E infatti i casi in cui i governi hanno dichiarato guerra a Telegram sono pressappoco equivalenti (e paralleli) a quelli in cui Telegram ha collaborato con essi o applicato le sue, e forse ancora scarse, regole.
Bloccare l’ibrido Punto di partenza da tenere a mente: per un governo che non abbia a cuore la libertà d’espressione (e la democrazia) impedire l’utilizzo di Telegram ai cittadini che non saprebbero come aggirare tecnicamente il blocco è piuttosto semplice. Si interviene sugli Isp, gli Internet Service Provider – come nel 2016 era stato segnalato in Bahrein – e gli si impedisce di accedere alla piattaforma. È stato fatto anche a Cuba nel 2021 dopo le proteste contro il governo e più volte in Cina. Tecnicamente è quindi possibile ma si tratterebbe di vera e propria censura. Soprattutto verrebbe meno un canale importante di comunicazione: Telegram ha infatti solo alcune chat crittografate, il loro utilizzo va scelto appositamente, altrimenti funziona esattamente come altre app che conservano i messaggi sui server e per le quali la difesa della privacy è affidata al buon cuore del proprietario. Ci sono però anche “Gruppi” e “Canali pubblici” che lo rendono un ibrido tra un social network e un’app di messaggistica: per conoscere il loro contenuto basta iscrivervisi, per leggere le chat invece bisognerebbe entrare nelle conversazioni private delle persone. Una vera e propria intercettazione.
Il caso Spagna. La Spagna, però, quest’anno ha dimostrato che non è così semplice bloccare Telegram. Decretato a marzo 2024 dal giudice dell’Audiencia Nacional Santiago Pedraz come “misura precauzionale” per evitare la violazione di copyright su prodotti video, dopo 48 ore è stata revocata perché ritenuta una misura “eccessiva e non proporzionata”. Nella sua seconda ordinanza, il magistrato ha spiegato che non era possibile ignorare l’impatto della decisione su un enorme numero di utenti e sulle relative attività economiche legate alla piattaforma.
Cavallo pazzo. Telegram riesce poi pure nell’impresa di farsi nemici in ogni polo geopolitico. Nel 2023 la Norvegia ne ha vietato l’utilizzo ai parlamentari sui dispositivi di lavoro: il divieto è arrivato insieme a quello di Tik Tok, temuto per il sospetto di spionaggio cinese. D’altro canto, nel 2019 Durov ha attribuito a indirizzi cinesi il pesante attacco Ddos contro i suoi server: le proteste contro il disegno di legge sull’estradizione di Hong Kong avevano condotto all’arresto Ivan Ip, amministratore di un gruppo Telegram con 20 mila membri, con l’accusa di “cospirazione per commettere disturbo della quiete pubblica”. E ancora: in Russianel 2018 Telegram è stato vietato da un tribunale per non aver voluto fornire al Servizio di sicurezza federale l’accesso alle chiavi crittografiche, come richiesto dalla legge federale antiterrorismo. Divieto poi rimosso nel 2020 dopo che Telegram ha accettato di “aiutare con le indagini sull’estremismo”. Ad oggi, i dettagli della collaborazione non sono noti.
Il moderatore Le accuse in Francia riguardano traffico di stupefacenti, terrorismo, frodi, riciclaggio, pedopornografia, diffusione non consensuale di immagini intime. Tutti comportamenti vietati dalle policy della piattaforma. E dicevamo che, quando vuole, Telegram collabora (come vuole lui). In Brasile – per fare un esempio – a novembre, dopo un lungo tira e molla per contrastare le fake news, un 16enne ha ucciso quattro persone e ne ha ferite dieci in due attacchi consecutivi in due scuole. La versione circolante è che avesse interagito con gruppi antisemiti su Telegram, oltretutto canale d’elezione dell’ex presidente di estrema destra Jair Bolsonaro (bannato su altri social network). Secondo un documento dell’autorità giudiziaria federale, gli inquirenti avevano chiesto a Telegram i dati personali dei membri di due gruppi: la società ha trasmesso solo i dati relativi all’amministratore di uno dei gruppi, aggiungendo che “Telegram aveva l’intenzione di non collaborare alle indagini”.
In Iran, la “App della rivolta” dal 2015 viene bloccata e “rilasciata” ripetutamente tra richieste di controllo – spostare i dati degli utenti iraniani sui server in Iran –, rifiuti e compromessi. Tra questi, Durov accetta di bloccare alcuni canali perché violano le policy della app ma poi li riattiva, bannando solo gli amministratori. Al punto che il governo ha creato due app simil-Telegram “alternative”. In questo caso Telegram specifica che le chat restano “terreno privato” e che la moderazione avviene sui contenuti “pubblici”. A titolo d’esempio: il 30 dicembre 2017, durante le manifestazioni antigovernative, Telegram ha chiuso un canale dell’opposizione iraniana che pubblicava inviti a usare molotov contro la polizia, dopo aver ricevuto una denuncia dal governo. Durov ha spiegato che il motivo del blocco era una politica di “nessun invito alla violenza” e ha confermato che criticare le autorità locali, sfidare lo status quo e impegnarsi nel dibattito politico erano invece ben visti dalla piattaforma, non promuovere la violenza. In Iraq, Telegram viene bloccato nel 2023 per la fuga di dati ufficiali dello Stato e di informazioni personali dei cittadini. Telegram interviene, i canali rimossi, il ban cancellato. Secondo il governo l’app “ha risposto alle richieste delle autorità di sicurezza”, secondo Telegram semplicemente “la pubblicazione di dati privati senza consenso è vietata dai termini di servizio”.
E in Europa? A marzo, Durov ha spiegato di star lavorando per migliorare la piattaforma (“Non ricordo nessun grande social la cui moderazione sia stata costantemente elogiata dai media tradizionali”) e già nel 2022 in Germanial’applicazione (o meglio l’azienda) aveva bloccato decine di canali. Pare fossero 64 in tutto e secondo Süddeutsche Zeitung sarebbe stata “la prima volta” di Telegram in Germania contro l’incitamento all’odio. La chiusura degli account è arrivata dopo le pressioni del Ministero dell’Interno e dell’Ufficio federale di polizia criminale (BKA), che avevano portato avanti colloqui con i responsabili dell’applicazione nel tentativo di segnalare problemi su diversi canali. Secondo quanto riportato dal giornale, uno dei canali Telegram chiusi apparteneva al teorico della cospirazione ed ex chef vegano Attila Hildmann: messaggi antisemiti e disinformazione sulla pandemia da coronavirus il suo piatto forte.