Il Messaggero, 28 agosto 2024
La Germania è il grande malato della Ue
La Germania si conferma il grande malato d’Europa. L’interrogativo che per la seconda volta in meno di un quarto di secolo l’Economist aveva messo in copertina nell’agosto di un anno fa, torna attuale e si tramuta in certezza. E tormenta la principale economia del Vecchio continente alle prese con il calo degli investimenti industriali (-4,1%), la gelata dei consumi (-0,1) e la flessione dell’export (-0,2%).Si ritrova così ad essere l’ultimo vagone del treno dei Grandi del G7; e ad aiutarla non basta neppure l’effetto euforia, esauritosi ben presto, degli Europei di calcio. A certificare l’oggettiva difficoltà di Berlino a crescere sono i dati dell’ufficio statistico federale Destatis che, diffusi ieri, confermano la stima realizzata in prima lettura: nel secondo trimestre dell’anno, tra aprile e giugno, l’economia tedesca si è contratta dello 0,1% rispetto al periodo gennaio-marzo, quando il Pil aveva fatto registrare un incremento dello 0,2%. Secondo le stime preliminari pubblicate a metà agosto da Eurostat, fanno meglio gli altri “big” europei, dalla Spagna che mette a segno un +0,8% alla Francia con +0,3%, e anche l’Italia con il suo +0,2%, pur se lievemente sotto la media dell’Eurozona dello 0,3%. Per la Germania, invece, è in corso un’inversione di tendenza rispetto a inizio anno, con i consumi privati trainati dalla domanda interna in calo gli investimenti che crollano del 2,2%, mentre proseguono le difficoltà dell’export verso tutti i mercati. Su base annua, Destatis ha corretto lievemente le proiezioni, passando da -0,1% a uno scenario crescita zero per il 2024, ostaggio della prolungata stagnazione. Peggio che nelle previsioni di primavera del Fondo monetario internazionale, che aveva tagliato di tre decimali le prospettive di crescita tedesche, passate dallo 0,5% allo 0,2% in tre mesi. A poche ore dalle elezioni in Sassonia e Turingia, dove l’estrema destra potrebbe crescere ancora, nella crisi tedesca ci si mettono anche i problemi di natura sociale, legati all’immigrazione ad aggravare quelli finanziari. A maggior ragione dopo l’attentato terrorista di Solingen. Non a caso vanno di pari passo la stretta sull’immigrazione – che il cancelliere Olaf Scholz ha illustrato al leader della Cdu Friedrich Merz per ottenere la sua collaborazione – e le misure restrittive di natura fiscale. Infatti all’ultimo minuto prima dell’estate, i partiti di governo erano riuscito ad accordarsi sulla bozza della Finanziaria 2025, da approvare a fine anno. Una manovra da 481 miliardi, 44 di nuovi debiti, con la conferma del freno del debito e anche del 2% del Pil per la difesa. I conti però non quadrano, resta un buco di 17 miliardi e il ministro delle finanze Christian Lindner (Fdp) ha già detto che vuole rinegoziare. Parallelamente il governo ha lanciato una “iniziativa per la crescita” per dare impulso all’economia: fondi per la ricerca, agevolazioni fiscali per imprese, autonomi e lavoratori. Tutti i ministeri subiscono sforbiciate, incluso quello della Difesa che resta sempre la seconda voce del bilancio nazionale ma si deve accontentare di 53,3 miliardi, mentre il ministero del Lavoro e degli Affari sociali si conferma primo con 179,3 miliardi. Questo lo scenario dell’ex Locomotiva d’Europa tra presente e futuro. Come scrive in una nota Carsten Brzeski, economista di Ing Research, «l’economia tedesca è tornata al punto in cui era un anno fa: bloccata nella stagnazione, e detentrice del record di ritardo nella crescita dell’intera Eurozona». Il timido aumento del Pil visto nel primo trimestre (complici il clima mite che non ha pesato sulle bollette e la revisione al ribasso del periodo precedente), insomma, si è subito appannato, accompagnata dai segnali di pessimismo delle stesse aziende tedesche, a cominciare da un comparto chiave come la manifattura. Ad agosto, infatti, l’indice Ifo sul clima di fiducia delle imprese tedesche è sceso per il terzo mese consecutivo a 86,8 punti, rispetto agli 87 di luglio: è il valore più basso da febbraio; un segnale, ha detto il presidente dell’istituto Clemens Fuest, del fatto che la Germania sta «ripiombando nella crisi». Storicamente il sistema tedesco, sul fronte dei costi energetici, è quello che sta scontando di più la crisi russo-ucraina. A pesare sulle industrie, in particolare, è la scarsità di commesse dall’estero combinata agli alti tassi d’interesse; mentre l’attesa ripresa dei consumi non si è materializzata nonostante gli aumenti in busta paga. Gli stessi incrementi salariali che pure fanno ancora scommettere la Bundesbank in un’espansione nel terzo trimestre dell’anno, luglio-settembre, trainata dai servizi. Anche l’indice sulla fiducia dei consumatori Gfk per il mese di settembre, diffuso ieri, fotografa una situazione a tinte fosche: il dato è piombato a -22 punti dai precedenti -18,4 punti e ben al di sotto delle stime degli economisti (-18); mentre il “sentiment” degli esportatori ad agosto è sceso a -4,8 punti, rispetto al -2,2 di luglio. Cattive notizie, insomma, anche per l’Italia, visto che la Germania resta il nostro principale partner commerciale. In questa direzione una protratta frenata tedesca può avere un effetto boomerang sulla crescita tricolore.