il Giornale, 28 agosto 2024
Baratto tra Giuseppe Conte e Beppe Grillo
Ora come ora arrivare a una pace sembra impossibile. Eppure Giuseppe Conte e Beppe Grillo ci hanno abituati ai colpi di scena. Sia chiaro: al momento le chances di arrivare a un accordo tra i due litiganti del M5s non sono tantissime, ma i pontieri non mancano e non mollano. I trattativisti sono soprattutto nei gruppi parlamentari e sperano in una tregua armata che preservi l’unità del Movimento. Ancora una diarchia. Con l’avvocato di Volturara Appula a fare il leader e il comico genovese in veste di Garante. Chi cerca il patto in extremis ha due obiettivi: evitare che l’assemblea costituente finisca in una logorante guerra legale a colpi di carte bollate e ridurre al minimo il rischio di una scissione innescata degli ortodossi del grillismo. Ed ecco le voci, che circolano soprattutto tra i componenti dei gruppi pentastellati di Montecitorio e Palazzo Madama e arrivano fino a lambire i vertici dei Cinque Stelle. Come ogni accordo che si rispetti, anche in questo caso bisogna trovare un punto di caduta. O meglio, un compromesso.
Tra le varie ipotesi, la più gettonata sembra una. La soluzione in grado di tenere insieme tutto e il contrario di tutto, sull’altare della convenienza politica e anche economica. Vaste programme, avrebbe detto il generale Charles De Gaulle. Ma c’è chi non demorde. Quindi, traconciliaboli e chat private, spunta la possibile mediazione.A Beppe Grillo verrebbe rinnovato il suo ricco
contratto di consulente per la comunicazione del M5s a 300mila euro all’anno. E questo è il primo punto. Conte, in cambio, otterrebbe un parziale cedimento del patriarca sulla regola aurea del tetto ai due mandati. Una deroga che consisterebbe nel concedere ai parlamentari con due legislature un terzo giro nei consigli regionali, così da consentire agli esclusi di guadagnare più o meno quanto un parlamentare, continuando a contare ancora qualcosa. E poi c’è un dettaglio da non trascurare: in questo modo Conte spedirebbe i big a svernare nei loro territori e si libererebbe di concorrenti pericolosi a Roma, potenziali avversari per la leadership del M5s o semplicemente volti noti capaci di relegarlo in un cono d’ombra. Chi ci crede, riflette che su questa mediazione potrebbero convergere i due avversari perché conviene a entrambi. Grillo terrebbe la sua consulenza d’oro a 300mila euro all’anno, mentre Conte potrebbe tenere buoni i parlamentari e, allo stesso tempo, limitare la competizione nei palazzi romani. Un problema, non da poco, ci sarebbe per quegli eletti che non sono disposti a mollare il proprio seggio nella Capitale per tornare nella loro regione d’origine a fare i consiglieri regionali.
L’altro scoglio è la volontà di Grillo di accettare di perdere potere interno pur di conservare ancora il contratto di consulenza. Ma, se è vero che esiste un accordo con Conte che impedisce al Garante di accampare pretese legali su nome e simbolo, al fondatore non resterebbero poi molte alternative oltre a una scissione ancora fumosa e con pochissimi soldati.
Nel frattempo prosegue il dibattito tra i pochi che sono sulla stessa lunghezza d’onda di Grillo e i tanti che appoggiano Conte e la sua voglia di cambiare i connotati al M5s. «Si sta mettendo in atto un vero e proprio grillicidio; con una violenza che mi ha profondamente turbata, sia nel metodo usato che nel merito delle questioni sollevate. La tecnica è quella bullesca che abbiamo sempre stigmatizzato e condannato quando veniva esercitata da altri che volevano emarginare e isolare qualcuno», ha denunciato lunedì la vicepresidente M5s del Senato Mariolina Castellone, difendendo Grillo e i due mandati. «Le ipocrisie e le strumentalizzazioni della natura del Movimento, portate avanti in queste ora da qualche scissionista o presunto tale, sono strumentalizzazione anche degli appelli dello stesso Beppe Grillo, al quale tutto questo ciarlare non credo giovi in alcun modo. Un’operazione disgustosa, dispiace dirlo», ha risposto ieri il senatore Pietro Lorefice.
Tra gli highlander del grillismo delle origini resiste Danilo Toninelli: «Abbattere Grillo vuol dire abbattere il Movimento», spiega dando ragione a Castellone. A un mese e mezzo dalla fine dell’assemblea, il M5s è una trottola impazzita.
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Follow the money. Una delle possibili «piste» per dipanare il mistero dell’ascesa dei Cinque Stelle è quella che porta ai soldi. Nati nel segno della povertà, il giorno di San Francesco del 2009, sono passati ben presto dalla venerazione per il Poverello di Assisi alle liti sulla cassa. In principio furono i bonifici truccati e le restituzioni non versate, ora ci si arrovella sulle conseguenze politiche del contratto che lega Beppe Grillo al partito da lui fondato. 300mila euro all’anno per occuparsi di comunicazione, la versione ufficiale. Tanti soldi per rinunciare alla guerra con Giuseppe Conte, sostengono le solite malelingue.
Il primo scandalo a tema monetario si verifica nel 2018, con il caso delle restituzioni false. Funzionava più o menocosì: i parlamentari che non volevano restituire i soldi del loro stipendio al fondo per il microcredito alle imprese caricavano prima il bonifico sul sito del M5s sulle rendicontazioni e poi, una volta ottenuta una ricevuta che attestava il versamento, lo cancellavano nelle 24 ore successive. Titoli di giornali, espulsioni, inchieste televisive. Ma si è sempre continuato a parlare di soldi. Infatti per anni si è parlato di deputati e senatori che non si tagliavano lo stipendio. E, anche oggi, venuto meno l’obbligo di pubblicare le restituzioni, si discute ancora di eletti che non restituiscono parte del loro compenso, come dovrebbe essere da regole del M5s. Sempre in quella che ormai è la preistoria dell’epopea pentastellata, uno dei motivi della rottura tra il Movimento e l’Associazione Rousseau di Davide Casaleggio è stata la rivolta dei parlamentari che si rifiutavano di scucire i 300 euro mensili al guru per il mantenimento della piattaforma. A pensarci bene anche il tema del doppio mandato è anche una questione di soldi. Di deputati e senatori che non vogliono mollare stipendi e benefit di Montecitorio e Palazzo Madama. Lo stesso Casaleggio, nel 2020, alla richiesta dell’allora capo politico reggente Vito Crimi di diventare un semplice fornitore di servizi, rispose con un preventivo da capogiro: 1 milione e 200mila euro l’anno di retribuzione.
A proposito dei 300mila euro di Grillo, non bisognadimenticare le altalene finanziarie della società che gestisce il blog del comico. Dopo anni di perdite, nel 2022 il sito del fondatore del M5s è tornato a fare utili, anche se di poco:72mila euro. E la vicenda della consulenza di Grillo è connessa al nuovo tesoretto di cui può disporre il Movimento a partire dal 2023. Parliamo del 2x1000, da sempre avversato proprio dal Garante, ma sdoganato da Conte alla fine del 2021 con una votazione online. E ancora, un anno dopo, le polemiche per l’assunzione di alcuni big non ricandidati in Parlamento in virtù della regola dei due mandati e assunti a libro paga dei gruppi di Camera e Senato. Due casi su tutti: Paola Taverna e Vito Crimi, entrambi arruolati a 70mila euro all’anno. Con tanto di proteste degli ex collaboratori licenziati senza tanti complimenti all’avvio della legislatura in corso. Dal mito del Movimento francescano alle beghe sui soldi il passo è stato breve.