La Stampa, 28 agosto 2024
Parla Ezio Gamba, maestro di judo
La prossima sfida Ezio Gamba l’affronterà in Italia, dopo aver passato gli ultimi quindici anni in Russia, dove ha scritto le pagine più importanti della storia del Judo. Un’avventura cominciata nel 2009 come direttore tecnico della nazionale maschile e continuata nel 2012 con la nomina a general manager di tutto il team, che ai Giochi di Londra sbancò vincendo una carrettata di medaglie, tra cui tre ori. «Il più grande risultato nella storia del judo maschile olimpico», ricorda il 65enne bresciano, oro ai Giochi di Mosca del 1980 e argento a Los Angeles quattro anni dopo, anche se l’incontro più importante è stato quello vinto recentemente contro un linfoma.Per i suoi meriti sportivi, nel 2016 l’ex campione ha ricevuto la cittadinanza russa direttamente dal suo allievo più celebre: Vladimir Putin. Una presenza, quella di Gamba in Russia, tornata alla ribalta dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, al quale sono seguite le sue dimissioni da segretario generale dell’Unione europea Judo (Eju). Oggi Gamba è tornato nel suo Paese natale per candidarsi alla presidenza della Fijlkam, la federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali, nonostante il suo contratto in Russia scada nel 2028.Maestro, come mai questa decisione?«Quando sono andato in Russia ho trovato una situazione generale confusa. Bisognava riorganizzare il sistema e creare un’atmosfera di gruppo positiva, con una federazione vicina ai propri atleti. È proprio questo spirito che è mancato alle Olimpiadi di Parigi, dove gli italiani si sono comportati da leoni senza però riuscire a portare a casa dei risultati all’altezza delle loro potenzialità. Dalla gara a squadre non è arrivata una medaglia, ma l’Italia ha fatto una competizione decorosa».Lei era in Russia anche quando è scattata l’aggressione all’Ucraina. Come è stata vissuta nel suo ambiente?«La situazione prima era tranquilla. C’erano squadre dell’Ucraina, della Georgia, dell’Uzbekistan o della Romania che venivano ad allenarsi da noi. Quando c’erano le gare quegli atleti tifavano per russi, che facevano poi la stessa cosa con loro. Del resto, è una popolazione che è sempre stata unita».Cosa ha cambiato il conflitto?«Nel momento in cui è scoppiato io ero fermo a causa dei miei problemi di salute quindi non ho vissuto in prima persona quel periodo. Abbiamo però avuto delle difficoltà enormi, spesso causate dal fatto che nella squadra russa diversi componenti, come ad esempio allenatore o atleti, sono sposati con ucraine e ucraini».Una guerra che ha avuto pesanti ripercussioni anche sullo sport. Alle ultime Olimpiadi di Parigi, ad esempio, la nazionale russa di Judo ha deciso di non presentarsi denunciando le “condizioni umilianti” stabilite dal Cio.«Con poche gare a disposizione abbiamo qualificato 12 atleti su 14, che in seguito sono stati approvati dalla federazione mondiale. Poi è arrivato il comunicato del Cio, secondo il quale nessuno di loro era abilitato a competere. Avremmo potuto avere solo quattro wild card (autorizzazione a partecipare a chi non ha diritto, ndr) a quattro riserve, che come gli altri atleti russi si sarebbero dovute presentare senza i colori della loro nazione. Ma nessuno di loro ha voluto partecipare prendendo il posto dei compagni, tra i quali ce ne sono alcuni che figurano al primo o al terzo posto nel ranking mondiale. Il giorno dopo, però, è uscita la notizia che il judo russo boicotta le Olimpiadi. Le informazioni bisogna elaborarle e capirle bene».Sembrerebbe che politica e sport non riescano proprio a rimanere separati.«Sono mondi che devono rimanere sganciati. Non c’è una sola persona, che sia in Russia o in Ucraina, contenta di questa situazione. Ancora oggi sono in contatto con tanti atleti ucraini, che spesso mi scrivono o mi mandano i video per raccontarmi cosa sta succedendo nel loro Paese. Lo sport deve rimanere al di sopra di queste cose e trasformarsi in un anello di collegamento».Durante la sua esperienza russa ha avuto anche un allievo di eccezione: Vladimir Putin.«L’ho incontrato in tutto una ventina di volte. L’ultima è stata quattro anni fa, perché poi è scoppiata la guerra e io sono stato male. Poi ci siamo sentiti un’ultima volta per telefono lo scorso anno, quando mi ha chiamato per avere la mia opinione su una struttura per il judo e il sambo realizzata su mia proposta che non ha eguali al mondo per grandezza. Veniva all’incirca un paio di volte all’anno per allenarsi con la nazionale e una volta finito bevevamo tutti insieme il tè. Lui parlava molto con gli atleti delle loro problematiche. Il judo è lo sport che praticava da piccolo, ed era come vedere un ambino che gioca con il Lego. Gli si leggeva l’emozione negli occhi quando lo faceva e quando ne parlava».Un voto sul Putin atleta?«Per essere uno che non lo fa di professione, si muove in modo più decoroso di tanti altri judoisti».