la Repubblica, 28 agosto 2024
Pentiti, pasticcio di Stato un ministero li finanzia e l’altro confisca gli aiuti
C’è una linea di condotta disincentivante, che frena ogni collaborazione con la giustizia dei mafiosi che con le loro rivelazioni – verificate e riscontrate – finiscono nel programma di protezione. E l’attacco a questo strumento indispensabile per la lotta alle mafie non arriva dai favoreggiatori o dalle menti occulte pagate dalle organizzazioni mafiose, ma da un ramo della pubblica amministrazione. È in corso uno scontro – si presume involontario – fra apparati dello Stato. Da una parte c’è il ministero dell’Interno, da cui dipende la Commissione centrale per le speciali misure di protezione, che si occupa dei collaboratori di giustizia, e provvede a capitalizzare economicamente l’uscita dal programma per chi ne fa richiesta o per coloro cu non viene rinnovato il contratto, liquidandoli con una somma che non va oltre i 50mila euro. Dall’altra l’Agenzia delle entrate, pronta a confiscare la somma di denaro che si è deciso di versare al collaboratore, perché quest’ultimo è debitore verso lo Stato delle spese processuali o delle pene pecuniarie che gli sono state inflitte. Va tenuto conto che i collaboratori di giustizia chehanno partecipato a processi lunghi e importanti, come quello per la strage di Capaci, hanno avuto inflitte spese processuali che sfiorano il milione di euro.Le misure di protezione sono temporanee: la durata è non inferiore a sei mesi e non superiore ai cinque anni. Non così negli Stati Uniti, dove il programma Marshall prevede che la protezione sia a vita e si possauscirne solo in via eccezionale. In Italia, funziona al contrario. Il programma, rispetto a come lo aveva pensato Giovanni Falcone all’inizio, ricalcando l’esperienza americana, è profondamente cambiato: ora è a termine e di regola dopo il periodo previsto si esce, salvo eccezioni. Si punta sulla mancanza di attualità della pericolosità.«La legge per la collaborazione con la giustizia, fortemente voluta da Falcone, assicura segretezza, un tetto e una indennità per vivere, oltre all’assistenza legale e al cambio delle generalità», spiega l’avvocato Luigi Li Gotti, che fin dagli albori di questa legge ha assistito i mafiosi che hanno scelto la strada della collaborazione, come Tommaso Buscetta. «La legge ha subito molte modifiche. Se si ritiene che la collaborazione sia esaurita, il programma di protezione non viene prorogato, e al collaboratore vengono tolte le misure di assistenza, ma gli viene dato un capitale di circa 40-50mila euro per consentirgli di stabilizzarsi», spiega il legale. E aggiunge: «La confisca di queste somme da parte dell’Agenzia delle entrate per recuperare le spese di giustizia relative ai processi vanifica l’obiettivo di aiutare il collaboratore a stabilizzarsi: si ritrova senza un tetto e senza soldi. Letteralmente in mezzo a una strada. C’è il rischio che torni nei territori di origine, con conseguenze sulla sua incolumità personale per effetto di possibili rappresaglie».E per Li Gotti si va incontro a un ulteriore pericolo: «Non si deve sottovalutare il rischio che il collaboratore torni nel circuito della criminalità. E un’ulteriore conseguenza è depotenziare la scelta di collaborrare con la giustizia, perché i mafiosi valutano quali sarebbero le conseguenze, ossia il ritrovarsi in mezzo a una strada. È una situazione gravissima, così si indebolisce la lotta alle mafie».E il governo di Giorgia Meloni che fa? «Il governo è indifferente, e l’affermazione che la lotta alla mafia sarebbe una priorità, come dichiarato di recente dalla presidente del Consiglio, rimane un mero proclama. È vero il contrario e tutti tacciono. Non c’è neanche il rispetto per gli eroi che hanno perso la vita per lo Stato».Dunque, la Commissione non eroga ai collaboratori la somma che dovrebbe monetizzare il loro reinserimento nella società, e aiutarli a finanziare il loro “progetto di vita”, che di solito è semplicemente l’acquisto di una casa.L’abitazione pagata dal ministero dell’Interno, in cui l’ex mafioso vive con la propria famiglia durante l’adesione al programma, quando questo cessa, dev’essere lasciata. Così il collaboratore, che nel frattempo è diventato un nemico dei mafiosi, si ritrova senza più soldi e senza un tetto. Abbandonato dallo Stato. Questa azione indebolisce la lotta alle mafie perché disincentiva le collaborazioni: tradire i compari non paga più come prima