Corriere della Sera, 28 agosto 2024
Intervista a Ezio Gamba, il maestro di judo che allenava Putin
Allena i russi del judo dal 2008, è stato istruttore di Vladimir Putin, dal quale nel 2012 ha ricevuto la cittadinanza. Ma adesso Ezio Gamba, classe 1958, oro olimpico a Mosca nel 1980 e argento nel 1984 ai Giochi di Los Angeles, perle di una bacheca smisurata, torna in Italia. Dalla Russia con amore: per lo sport che l’ha reso grande, ma anche per il suo Paese «perché prima di tutto sono italiano». Il rientro dopo 16 anni coincide con una candidatura: correrà per la presidenza della Fijlkam, la federazione che raggruppa judo, karate, lotta e arti marziali. Però Ezio da Brescia, re del tatami, premette due cose: «La prima è relativa al contratto: scade nel 2028, è rescindibile e il presidente federale non si oppone perché la mia è una scelta di cuore, ma ci sono aspetti da sistemare». La seconda precisazione riguarda la volontà di non fare chiasso: «Polemizzare non è mai stato nel mio stile. Piuttosto, sono qui a proporre una linea».
Che cosa progetta per una federazione che è un prisma a più facce?
«Come a suo tempo in Russia, la priorità è creare un’atmosfera piacevole di lavoro basata sulla programmazione».
Putin è d’accordo che lei lasci?
(ride) «Non mi ha ancora chiamato, da un po’ non lo sento. Ho il suo numero? No, mi contatta la segreteria. L’ultima volta gli ho fatto i complimenti per il centro olimpico aperto l’anno scorso: ha 360 camere e il tatami più grande del mondo».
A Londra 2012 lei gli regalò risultati trionfali.
«Arrivò che avevamo già vinto 4 medaglie, gli dissi che quel giorno avremmo potuto conquistare un oro. E così fu. Come riconoscenza mi conferì la cittadinanza».
Com’è il judoka Putin?
«Ho sempre cercato di vederlo come uno sportivo: ora ha la sua età, ma ha talento. Con lui ho fatto un “divertimento motorio in coppia”, però mi ha colpito il suo star bene in gruppo: conosce i nomi di tutti, quando è con gli atleti mi sembra un bambino curioso che gioca con il Lego».
La spedizione a Parigi ha regalato all’Italia solo l’oro di Alice Bellandi nel judo.
«Il mio giudizio non è negativo, in particolare i judoka sono stati dei leoni. Ritorno però al concetto della squadra che fa la differenza. In Russia c’erano 4-5 leader che vivevano la loro grandezza senza essere connessi con gli altri. Così a Pechino 2008 sono franati. Quattro anni dopo è arrivato invece il miglior bottino di medaglie della storia. Ecco, dobbiamo fare in modo che gli azzurri tirino fuori il veleno».
Si può pensare a un boom del judo e delle arti marziali?
«Si può puntare sull’aspetto educativo e formativo. Ad esempio, spingo per insegnare, sia ai giovani sia a persone della terza età, la tecnica della caduta del judo: aiuta a evitare tanti infortuni nella quotidianità».
Prima della Russia lei ha avuto un’esperienza in Africa.
«Eccezionale, sia sul piano umano sia su quello sportivo. Lì ho imparato l’importanza dell’organizzazione: non c’era nulla».
Lo sport russo è stato isolato a causa della guerra con l’Ucraina.
«Evito i commenti politici, ma le difficoltà sono state enormi. Abbiamo partecipato solo al 45% delle gare di qualificazione olimpica, ma otto judoka per la federazione mondiale erano idonei. Invece sono stati sospesi, si dice che oltre al Cio c’entri… la Cia. Alla fine hanno approvato 4 wild card per figure di rincalzo. I ragazzi hanno rinunciato e i giornali hanno scritto che la Russia ha boicottato i Giochi…».
Nel dramma del conflitto lei vede la pace?
«Tratto solo le questioni che conosco. Ma i russi hanno spesso ospitato anche gli ucraini per gli allenamenti. Una fratellanza di fondo rimarrà sempre: credo allora che la pace tornerà».